Diplomazia, la mia Croce. Nel
Kosovo. In Sudan. In Croazia. Gli
ambasciatori del Sacro ordine
continuano a dilagare - Di Sandro
Magister, L'Espresso, 24 giugno 1999
Palazzo Ruspoli s'affaccia sul
Corso, nel cuore della Roma barocca.
È dimora principesca e museo. Ma
cosa capita di sentire al suo piano
nobile, tra i damaschi e le tele con
gli antenati dal cipiglio guerresco?
«L'importante è la fede. La
vocazione ad aiutare il prossimo.
Giovani col coraggio di pronunciare
i voti. I quarti di nobiltà non sono
il nostro futuro». A parlare è il
principe Sforza Ruspoli. E quando
dice noi non allude alla sua
famiglia di sangue, colonna
dell'aristocrazia romana, ma al
Sovrano militare ordine di Malta, il
sacro ordine di cui porta l'insegna.
Croce bianca su fondo rosso. «Croce
con otto punte come le otto
beatitudini». Beati i poveri perché
di essi è il regno dei cieli.
È anno solenne, il 1999, per
l'ordine dei cavalieri di Malta.
Nove secoli giusti di vita. Il 24
giugno è la festa del loro santo
patrono, Giovanni il Battista,
quello che i regnanti del suo tempo
li fustigava finché gli tagliarono
la testa. La mattina, messa cantata
in Vaticano con l'intero corpo
diplomatico. Nei due giorni
precedenti capitolo generale, con
l'elezione delle massime cariche. Il
giorno dopo, 25 giugno, visita al
papa del loro gran maestro a vita,
fra' Andrew Bertie, ramo degli
Stuart, con il rituale e gli onori
di un capo di Stato estero. Perché i
cavalieri di Malta sono sì un ordine
religioso, in obbedienza alla Chiesa
nelle cose del cielo, ma quanto a
sovranità sulla terra fanno sul
serio. Battono moneta ed emettono
francobolli, rilasciano passaporti e
hanno un piccolo esercito. Da due
anni si sono dati una nuova
costituzione che li svincola dal
patrocinio ecclesiastico. Da cinque
anni hanno conquistato un seggio
alle Nazioni unite come osservatore
permanente. Hanno portato a 82 le
loro ambasciate nel mondo. Erano 20
nel 1960 e presto passeranno le 100,
la prossima sarà la Mongolia.
Obiettivo: diventare Stato
osservatore all'Onu, come la Santa
Sede e la Svizzera.
Ma il territorio? «Non è
d'obbligo, alla nostra sovranità
basta il riconoscimento della
comunità internazionale», afferma
deciso il conte don Carlo Marullo di
Condojanni, che dal 1988 è il gran
cancelliere, il capo di governo
dell'ordine. «Anzi, cedere alla
vanità di ottenere da qualche parte
un lembo di terra sarebbe un grave
rischio, ci metterebbe alla mercé di
chi ce lo concede». Il governo
dell'ordine è a Roma in via dei
Condotti. La sede del gran maestro è
sull'Aventino, piazza e chiesa
disegnati nel Settecento dal
Piranesi. «E qui restiamo. Non
abbiamo mai pensato di inseguire una
sovranità legata a un minuscolo
territorio di una piccola isola nel
Mediterraneo».
La piccola isola è Malta. I
cavalieri vi approdarono nel 1530.
Cacciati prima dalla Terra Santa,
poi da Cipro e poi ancora da Rodi
dall'incalzare di arabi e turchi,
ebbero in dono l'isola da Carlo V.
Ma anche lì non ebbero pace. Di
nuovo l'armata di Solimano il
Magnifico li accerchiò per mare e
per terra, conquistò mezz'isola,
martellò il Forte Sant'Angelo che
era l'ultimo ridotto dei cavalieri.
Eppure questi, non più di 600 contro
40 mila feroci giannizzeri, seppero
resistere e vincere. Loro gran
maestro era Jean de La Valette, il
più grande condottiero dell'epoca.
Fu lui, respinti gli invasori, a far
costruire in cinque anni dal nulla
la città che oggi porta il suo nome,
La Valletta: coi suoi palazzi dorati
e le chiese, le fortificazioni
eleganti e imprendibili, i rettifili
orientati alle brezze più fresche,
il futuristico reticolo fognario,
l'ospedale d'avanguardia per igiene
e qualità delle cure: quell'ospedale
dove ai "signori malati" i cavalieri
servivano i cibi su piatti
d'argento.
Poi arrivò Napoleone e li spazzò
via da Malta senza sparare un sol
colpo. Un po' se lo meritarono, i
cavalieri. A lungo andare, ricchezze
e mollezze li avevano fiaccati nel
corpo e nello spirito. Vagarono di
corte in corte finché nel 1834
stabilirono il loro quartier
generale a Roma, per un altro secolo
e mezzo di grigio tran tran. Ma
adesso basta. La quaresima è finita.
È l'ora della "svolta epocale",
titola la loro rivista ufficiale. Ai
primi di dicembre del 1998, 900
cavalieri di tutto il mondo hanno
fatto ritorno a Malta per il
novecentesimo compleanno
dell'ordine. Mai nella storia
l'isola ne aveva visti così tanti
insieme. Hanno sfilato per le vie
della Valletta in pompa magna. Hanno
ripiantato la bandiera su Forte
Sant'Angelo, l'antica cittadella che
ora ridiventa loro centro mondiale
di formazione. Hanno rotto col
segreto e messo in pubblico quel che
fanno e quel che intendono fare "per
il terzo millennio".
Si sono cosparsa anche parecchia
cenere sul capo. Il conte Marullo,
gran cancelliere, l'uomo che tutti
indicano come il gran motore della
svolta, li ha sferzati in pubblico
senza misericordia, nell'ex ospedale
cinquecentesco di Malta oggi
divenuto centro congressi:
«Nell'ordine non si resta senza il
conforto delle virtù. Fuori chi
sfoggia ricchezza, chi cerca posti
privilegiati, chi si agita per
vanagloria». E loro buoni sotto la
lavata di capo: principi e conti,
duchi e marchesi, Hohenzollern e
Kent, Orléans e Borbone, Boncompagni
e Paternò. All'ordine appartengono
per tradizione membri delle famiglie
nobili, ma non solo. Gli affiliati
degli Stati Uniti sono quasi tutti
non aristocratici, idem la gran
parte dei non europei. In futuro ci
sarà sempre più posto per i comuni
mortali, anche ai gradi dirigenti.
Dove anche le donne sono ora
ammesse.
Ma anche in passato fu un po'
così. Tra il 1607 e il 1609 l'ordine
ospitò nell'isola di Malta e fece
cavaliere un non nobile fin troppo
esuberante, addirittura inseguito da
una condanna a morte per omicidio:
Michelangelo da Caravaggio. E questi
dipinse per loro una sublime
Decapitazione di san Giovanni,
tuttora conservata nella cattedrale
dell'isola assieme a un Gerolamo
penitente. Ed effigiò due volte il
gran maestro dell'epoca, Aloph de
Wignacourt, in ritratti poi finiti
uno al Louvre e un altro a Firenze a
Palazzo Pitti. E quando al
Caravaggio scappò di nuovo il
pugnale e finì in galera e fu
espulso dall'ordine, il gran maestro
lo fece benignamente fuggire.
Spada e opere di misericordia.
L'ordine è nato così, a partire
dalla prima crociata del 1099: con
ospedali a Gerusalemme, in Terra
Santa e lungo i percorsi dei
pellegrini. E monaci guerrieri a
protezione di queste oasi, da
saraceni e predoni. Oggi la sostanza
non è mutata. I cavalieri di Malta
non portano più le armi, ma il
soccorso sanitario resta il loro
vanto. In ospedali di prim'ordine di
molti paesi. Ma anche nelle zone di
guerra, dopo le catastrofi naturali,
sulle rotte degli sfollati. Anche
dove altre organizzazioni umanitarie
non riescono ad arrivare. In piena
guerra del Kosovo, i cavalieri di
Malta erano presenti con centri di
soccorso non solo in Albania e
Macedonia, ma nella stessa
Jugoslavia, in Montenegro e
Voivodina. Tutto agli ordini del
loro grande ospedaliere Albrecht
Freiherr von Boeselager, tedesco di
riconosciuta competenza, terza più
alta autorità dell'ordine dopo il
gran maestro e il gran cancelliere.
Al posto dei monaci guerrieri
oggi i cavalieri di Malta hanno
messo gli ambasciatori ad agevolare
e proteggere le loro opere
umanitarie. Invece che placido
premio a nobiluomini vetusti,
l'ambasceria è divenuta missione di
prima linea, per generosi e
coraggiosi. Niente prebende, niente
stipendi, magari neppure la
residenza. Al nuovo ambasciatore si
chiede d'essere manager di se
stesso, di procurarsi lui una sede,
d'avviare lui iniziative capaci d'autosostenersi.
Può persino non essere neppure
membro dell'ordine, importante è che
abbia una competenza in aiuti
umanitari. Come Carmine Marzoli, ex
direttore sanitario, abruzzese, che
non è cavaliere, ma è stato fatto
ambasciatore prima in Bolivia e poi
in Slovenia: due paesi dove al suo
arrivo non c'era alcun nucleo di
affiliati all'ordine. E in Bolivia
ha creato una scuola di erboristeria
e medicina tradizionale tra gli
indios dei sobborghi poveri di La
Paz, mentre in Slovenia si fa in
quattro per i profughi arrivati dai
Balcani in guerra.
E guai a non dar buona prova. Col
nuovo corso, ogni quattro anni gli
ambasciatori vanno sotto esame ed è
come se prendessero il voto:
confermato, promosso, trasferito,
giubilato. A Malta l'ordine sta per
far partire una sua scuola
diplomatica, con stage di
formazione: vi sovrintende fra'
Norbert Venceslas Kinsky, segretario
della cancelleria. E poi c'è la
formazione spirituale per tutti, in
capo alla quale c'è il gran
commendatore fra' Ludwig Hoffmann
von Rumerstein. La spiritualità dei
cavalieri è di quelle rigorose,
sobrie, obbedientissime al papa,
attaccate alla grande tradizione. Lo
si intuisce assistendo alle loro
messe. A Roma la messa domenicale
delle 11 e 30, nel palazzo dei Fori
detto dei cavalieri di Rodi, è
celebrata in latino, con ritualità
densa di mistero, nella suggestiva
penombra di quello che era l'atrio
porticato di un'antica villa
augustea.
Con i diplomatici del Vaticano,
gli ambasciatori di Malta vanno
d'intesa. Spesso i secondi
intervengono sui governi locali con
quella libertà di movimento e di
parola che i primi non si possono
permettere. Milan Kucan, il
presidente sloveno, attribuisce
apertamente ai cavalieri di Malta il
merito d'aver aperto la strada al
riconoscimento vaticano
dell'indipendenza di Slovenia e
Croazia nel gennaio 1992, in
anticipo rispetto alle altre
cancellerie europee. A Cuba, il
ripristino della festa del Natale,
decisa da Fidel Castro lo scorso
novembre, è arrivata pochi giorni
dopo la visita nell'isola del gran
maestro Bertie e del gran
cancelliere Marullo con 8 milioni di
dollari di aiuti, più di quanto
erogato nello stesso anno da tutti i
governi d'Europa sommati. Neutrali
per principio, sotto le insegne
proprie o dell'Onu, i cavalieri di
Malta riescono a passare anche i
confini più ostici. Nel Sudan
dilaniato dalla guerra civile
portano aiuti sia dall'una che
dall'altra parte. Dall'Iraq al
Congo, cercano d'essere presenti
nelle situazioni estreme. «Abbiamo
avuto anche dei martiri, in Vietnam
e altrove», dice il gran cancelliere
Marullo. «Ma abbiamo scelto di
tacerli. Non è la gloria che conta,
ma il salvare nuove vite». Non fanno
chiasso neanche perché sia fatto
santo il loro fondatore, Gerardo.
Del quale ricordano che aprì il suo
primo ospizio a Gerusalemme quando
la città santa era ancora dominata
dai musulmani. E quando arrivarono i
crociati continuò a curare tutti,
fedeli e infedeli.