Cavalieri, ordinati in diciassette classificazioni nell’Archivio dell’Ordine. Tra queste scelgo la sezione XII dedicata alla Marina perché la ritengo la più rappresentativa. Comprende ben 180 manoscritti (numerati ms. 1759-1934) su tutti gli aspetti delle attività marinare, recanti titoli come Sopra il buon governo delle galere; Regole e ordinazioni per il buon governo delle galere e di altri navigli; Giornali dei viaggi delle navi; Soldo dei Cavalieri ufficiali e degli equipaggi delle navi; Consumo dei viveri fatto dai cavalieri ufficiali e dagli equipaggi delle navi da guerra; Istruzioni canonico-morali ai cappellani delle galere, e così via. Il materiale contenuto in questi 180 manoscritti non solo permette di ricostruire tutto quell’ambiente nei minimi dettagli, ma attesta anche il predominio della lingua italiana perché, malgrado il carattere internazionale dell’Ordine, plurilingue ma in realtà dominato dai Cavalieri parlanti francese e spagnolo, i detti codici sono tutti in lingua italiana tranne uno che è in francese. La ragione viene spiegata dagli storici che ci informano che “la dignità di Ammiraglio e di Luogotenente dell’Ammiraglio si affermarono verso la metà del secolo XIV come prerogativa e preminenza della Lingua d’Italia”, e aggiungono che questa “estese a tutte le cose della Marina... una speciale ingerenza” (Rossi 1926: 121). Per conseguenza agli storici della lingua italiana, grazie alla mole, alla varietà e alla cronologia, questo materiale può essere utilissimo poiché coincide con il sempre crescente affermarsi dell’uso dell’italiano in un ambiente che politicamente si colloca fuori dai confini italiani, benché geograficamente attiguo, ed è inoltre caratterizzato dalla confluenza di centinaia di persone parlanti lingue diverse.

Frontespizio del primo dei due volumi dell’opera di Giacomo Bosio, stampati nel 1594 nella Tipografia Vaticana, appena istituita da Sisto V al Palazzo Apostolico. Nella monumentale ed elaborata antiporta, su disegno di Antonio Tempesta, tra trofei d’armi e figurazioni araldiche, lo stemma dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni (in alto), quello del Gran Maestro Fra’ Hugo Loubenx de Verdala (al centro), e del Gran Cancelliere Fra’ Alonso Texada (in basso).

Frontispiece of the first of two volumes of Giacomo Bosio’s work, printed in 1594 in the Tipografia Vaticana recently founded by Sixtus V in the Apostolic Palace. The monumental outer door, designed by Antonio Tempesta, among coats of arms and heraldic figures, bears the escutcheon of the Order of the Knights of St. John (top), of the Grand Master Fra’ Hugo Loubenx de Verdala (centre) and of the Grand Chancellor Fra’ Alonso Texada (bottom).

Frontespizio del primo dei due volumi dell’opera di Giacomo Bosio, stampati nel 1594 nella Tipografia Vaticana, appena istituita da Sisto V al Palazzo Apostolico.
L'italiano scritto degli usi istituzionali

 

  Il carattere eterogeneo di questo ambiente e il suo influsso sull’italiano ivi preminente vengono descritti dall’autore del Nuovo dizionario della Marina, Italiano e francese con una perspicacia degna di un sociolinguista del nostro tempo. Purtroppo l’autore in questione non rivela la propria identità e nel frontespizio del manoscritto (l’opera è rimasta inedita) si definisce semplicemente “un Cavaliere attualmente ufficiale sui Vasselli del medesimo Ordine”. In altri studi ho esaminato la questione della paternità di questo dizionario e ritengo plausibile che il Nuovo dizionario della Marina sia da attribuire a un certo Giovanni Pagnini, di origine lucchese ma che si stabilì a Malta agli inizi del Settecento dove era impiegato nella scuola di navigazione dei Cavalieri. Apparentemente lo scrisse per conto o su commissione di un cavaliere ufficiale della Marina che probabilmente per questo motivo decise di restare anonimo (forse Costantino Chigi; sembra che fosse una consuetudine dell’alta aristocrazia di non firmare le opere scritte da loro o per loro conto). Più sicura è la data di composizione, il 1729 (vedi Brincat 1997 e 2000). Per tornare all’argomento che ci interessa in questa sede, cioè il carattere dell’italiano usato come lingua veicolare per l’interazione pratica con e fra parlanti non italiani, occorre ricordare che l’opera nacque per rispondere a un’esigenza concreta in seno alla scuola di navigazione istituita dall’Ordine e che era frequentata da giovani nobili europei, soprattutto francesi e napoletani, ma anche russi, come indica una lettera di ringraziamento spedita da Caterina II nel 1766 al Gran Maestro Pinto il quale aveva ammesso alcuni giovani ufficiali russi sulle navi dell’Ordine, concedendo a loro lo stesso trattamento riservato ai cavalieri che facevano la carovana, il tirocinio obbligatorio che durava due anni. Effettivamente la Biblioteca della Valletta conserva altre opere didattiche, manoscritte o a stampa, relative alla navigazione che testimoniano l’esistenza di questa scuola.

 
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