La squadra di galee del regno di
Sicilia
Dal momento che il Regno
doveva provvedere alla propria difesa, la moltitudine di
missioni affidate alle Galee si compensa ampliando il numero
delle imbarcazioni mediante il sistema dell’affitto che,
però, si utilizzerà solo per un breve periodo di tempo.
Durante questo periodo nella città di Messina vi sono 10
galee, di cui quattro sono di proprietà del Regno, e quindi
a suo carico, e le altre sei sono di privati con i quali si
è stipulato un accordo generale che prevede anche il
mantenimento delle galee del Re.
Anche se esisteva una sorta di sistema tradizionale per il
mantenimento delle galee, il 18 maggio 1531 il Viceré di
Sicilia, il Duca Hector Pignatelli e Caraffa, dettò alcune
norme ufficiali. Questo sistema stabiliva che si pagasse una
somma precisa per le galee in stato di combattimento. Una
parte di questa somma veniva data in monete, e la restante
in natura: grano, munizioni, polvere da sparo... etc.
Lo stipendio ai tempi del Generale Rodrigo di Portuondo e
del suo successore Berenguer de Requesens, era di 426
ducati, somma inferiore sia ai 500 ducati che Andrea Doria
pretese per le galee genovesi, sia al mantenimento delle
galee spagnole. Gli stipendi dei marinai sotto contratto, e
il vitto della ciurma libera e di quella che faceva lavori
forzati, erano totalmente a carico del privato che gestiva
le galee e venivano stabiliti in base a norme totalmente
diverse da quelle delle altre squadre. Cosicché tra
ufficiali aventi lo stesso grado alcuni guadagnavano di più
e altri di meno rispetto agli ufficiali delle galee
spagnole; per esempio i siciliani guadagnavano meno rispetto
agli archibugieri, in quanto ricevevano gratuitamente dal
magazzino reale la polvere da sparo e le munizioni.
Ogni capitano aveva come compito quello di provvedere alla
cura dei malati e di fornire i medicinali. Questo doppio
modo di procedere causava difficoltà quando si doveva
utilizzare la flotta come unità tattica e organica, non solo
dal punto di vista strettamente amministrativo, ma anche
perché il privato aveva l’obbligo di tenere operative le
proprie navi mentre quelle reali rimanevano nello stato in
cui si trovavano.
Tutto ciò è importante da sottolineare perché nel momento
in cui si doveva organizzare un’azione congiunta, vi doveva
essere un’omogeneità di velocità e manovra in quanto una
galea lenta poteva distruggere una linea di combattimento
prestabilita.
La Galea ideale non doveva essere né troppo vecchia né
troppo nuova; e si dovevano adeguare le une alle altre.
Quelle in cattivo stato si dovevano sostituire, ma la
decisione non spettava al privato. Quando l’Amministrazione
Reale contrattava con i privati, questa esaminava le offerte
valutando non solo la qualità e il prezzo ma anche il
talento militare del privato che in quel momento diveniva un
ammiraglio. Ma l’ultima decisione spettava comunque al Re.
La nomina dei Capitani delle galee competeva al Generale,
mentre i privati sceglievano il luogotenente, il capociurma,
il navigatore, i caporali, i vogatori e la truppa degli
archibugieri in quanto non erano unità regolari, ma una
sorta di personale sotto contratto composto da spagnoli che
vivevano in Sicilia ossia da ispano-siciliani.
Si trattava, insomma, di un vero e proprio esercito
specializzato nei combattimenti di mare. Al Viceré compete
la nomina di un solo incarico, anche se molto importante,
che è quello di colui che il Viceré considera i suoi occhi e
le sue orecchie, ossia “el escribano de ración”, una sorta
di contabile incaricato di occuparsi di tutte le spese della
squadra. Basta ricordare don Francisco Sedano che ricevette
tutte le istruzioni per il suo compito da Monteleón. Inoltre
il Viceré supervisiona alla nomina di un altro ufficiale di
grande importanza, il navigatore della nave capitana della
flotta, che era un ruolo ricoperto da un esperto navigatore
capace di guidare tutte le altre navi.
Le galee di Sicilia, a differenza di quelle spagnole che
sono formate da navi sia con vogatori forzati che volontari,
sono per la maggior parte costituite da vogatori forzati e
in caso di necessità a questi si aggiungono altri vogatori
mercenari. Non vi sono differenze degne di nota tra il
personale delle galee siciliane e le altre squadre. Degli
ufficiali citati non vengono ricoperti i posti di
luogotenente, usciere e cappellano, mentre il capo ciurma e
il sotto ciurma sono imprenscindibili.
Tra i caporali o marinai si hanno “i proeres”
specializzati nelle manovre di prua, “i naocheros” o
navigatori, e i “lombarderos” (non più di 6) o artiglieri
specializzati.
Gli archibugieri posti al comando di due squadriglie per
galea sono 40, ed è categoricamente vietato salpare senza
avere a bordo questo personale.
Ogni nave è dotata di due trombe per intonare i saluti e
trasmettere gli ordini, mentre la nave capitana della flotta
ne ha quattro. Non vi è traccia dei pifferi e dei tamburi
delle galee spagnole. La ciurma dei forzati si divide in
schiavi e condannati a scontare una pena detentiva; i primi,
che sono schiavi a vita almeno che non paghino il riscatto,
si suddividono in turchi, mori e negri. E al momento di
assegnare i posti nelle navi questa divisione sarà utile
soprattutto per impedire un eventuale ammutinamento.
I condannati, invece, si dividono in ergastolani e coloro
che scontano pene temporanee, ed entrambi vengono registrati
segnando il luogo di nascita, in modo che, in caso di
necessità, siano consegnate armi solo ai condannati
cristiani. Tutti vengono registrati con i nomi, cognomi ed
età approssimativa.
Una delle particolarità delle galee siciliane, introdotta
dal Duca di Monteleón, che compensa la minore spesa per il
loro mantenimento, è il fatto che queste ricevevano
gratuitamente sia le munizioni dall’artiglieria sia armi
come dardi, lance, etc.
Anche se nella maggior parte dei casi il Viceré si
disinteressa degli aspetti pratici delle galee, lasciando al
generale la massima libertà di azione, spinto da ragioni
umanitarie lo obbliga a collocare in ogni galea una tenda di
canapa per proteggere i forzati dal calore del sole e
dall’umidità della notte, e a dar loro due camicie, tre paia
di calzoni, una mantella e ad ottobre un cappotto “perché i
rematori cadono malati per il troppo freddo” (3).
Le galee di Sicilia non ammettono a pagamento né donne né
bambini. Tutti devono avere un’età compresa tra i 20 e i 50
anni, permettendo solo ai consiglieri del capitano di
arrivare a 60 anni. Mentre il Re trattiene un quinto del
bottino delle galee di Napoli, la “Regia Corte” ossia
l’amministrazione dell’isola trattiene due quinti del
bottino delle galee siciliane, e il resto del bottino viene
così suddiviso: il capitano generale sceglie il gioiello più
particolare del bottino, e in più gli tocca un quinto del
valore totale stimato dal tribunale. L’altro quinto si
suddivide tra i capitani delle galee, e il restante quinto
tra ufficiali, soldati, marinai e vogatori mercenari.
Le quattro Galee di proprietà del regno, che durante i
primi anni trenta del XVI secolo sono “Capitana”, “Califa”,
“Patrona” e “Aguila”, hanno le misure standard dell’epoca
ossia comprese tra le 22 e le 24 postazioni di vogatori per
lato, con tre uomini per ogni remo (4).
Se si paragonano queste galee con le galee affittate (come
per esempio quella di Antonio Doria o quelle del marchese di
Terranova) le galee siciliane sono dotate di armi molto più
raffinate, ma se si paragonano con quelle spagnole, queste
ultime risultano migliori.
Le galee siciliane sono dotate di un cannone di grosso
calibro e di altri quattro di medio carico a prua e hanno
una trentina di cannoni più piccoli distribuiti nei lati
delle navi.
Le galee dei privati hanno tre cannoni grossi ed un numero
compreso tra i sei e i dodici di cannoni minori. Alcune
delle galee di Spagna comandate da Don Alvaro de Bazan
durante questa epoca, sono straordinariamente dotate di una
ventina di cannoni di calibro medio e diverse munizioni tra
cui mortaretti.
Tutto ciò risulta sorprendente anche perché a tutti questi
armamenti si aggiungono una trentina di cannoni destinati ad
essere utilizzati dai marinai. Per ciò che riguarda la
truppa le galee genovesi avevano cinquanta soldati senza
specificare il tipo di arma che dovevano usare, le galee di
Sicilia avevano quaranta archibugieri, ed infine quelle
spagnole avevano un numero variabile, ma sempre superiore
alle altre, arrivando la nave principale ad essere dotata di
cento archibugieri..