L’opera è molto
significativa perché indica l’atteggiamento dell’Ordine verso la
lingua maltese. Da una parte ne descrive le regole elementari e
fornisce 3000 voci che possono essere considerate il suo lessico
fondamentale, come si usa dire oggi nella didattica delle
lingue. Dall’altra parte fornisce un esempio dell’applicazione
pratica di queste nozioni linguistiche a un settore concreto,
quelle delle esercitazioni militari. I Cavalieri, dunque, non
mantenevano un atteggiamento altezzoso verso i loro subalterni
ma, per fini pratici, sentirono l’esigenza di avvicinarsi ai
loro soldati incolti adoperando anche la lingua locale. Inoltre,
quando l’autore francese scrive frasi come “arfa el mosquet”,
“gib el forcina f’el mosquet”, “amel el miccia fel serpentina”,
“spara”, egli attesta la compenetrazione di una terminologia di
origine italiana dentro il telaio semitico della lingua maltese,
in questo caso una terminologia militare con le voci “mosquet,
forcina, miccia, serpentina, fogun, passi, boku, mira, spara,
polverin, porveli, borra, baccheta, lok, spallek, stringiu,
filere, redoblau, frontera, quart” alcune frasi fisse “stringiu
el filere”, “redoblau el filere”, ed anche alcune voci destinate
a entrare o già entrate nel lessico generale del discorso
quotidiano: “passi, fe lok, spallek, quart” con adattamenti
morfologici semitici che includono il pronome enclitico
(spallek) e le desidenze verbali (stringiu, redoblau). Questo
documento è utile per spiegare come nel periodo dei Cavalieri il
contatto con l’italiano fosse la fonte principale di
arricchimento della lingua locale.
Un altro testo scritto da un membro dell’Ordine Gerosolimitano
ci trasmette preziose indicazioni di natura sociolinguistica. Si
tratta di un testo letterario, un Intermezzo, che dal punto di
vista dell’alta cultura testimonia il tipo di divertimento che
era in voga a quei tempi, ma la sua natura comica, e il fatto
che era destinato alla recitazione, lo rendono anche una rara
testimonianza del modo in cui si parlava a Malta nella prima
metà del Settecento. Lo compose il Monsignor Domenico
Boccadifuoco, nato a Modica l’8 settembre 1698, quando si recò a
Malta per l’investitura quale Cappellano Conventuale nell’agosto
del 1730. Ignazio Saverio Mifsud, un letterato tipico del secolo
XVIII che riempiva i suoi zibaldoni con svariatissime notizie,
serie e meno serie, tanto da meritare l’appellativo di vero
cronista del tempo, lo trascrisse avvertendo il lettore che “la
seconda parte dell’Intermezzo non fu compita per la partenza
dell’autore” (BNM, Libr. 1, pp. 19-27; v. Cassola 1988: 1925).
Non vale rimpiangere l’incompletezza dell’opera, perché ai
nostri scopi la prima parte basta. Infatti, malgrado che il
testo appartenga al registro parlato-scritto, anzi
parlato-recitato, e dunque non è precisamente una fedele
trascrizione di un dialogo spontaneo, e malgrado la caricatura
che è inerente al dialogo delle situazioni teatrali comiche, il
testo del monsignore palermitano è essenzialmente verosimile.
La scena presenta una signora maltese, Vittoria, che riceve la
visita di un forestiero, Pantalone, nella sua camera in presenza
della serva Grezia. Il forestiero la corteggia ma lei fa la
ritrosa. Niente di straordinario, dunque, nella trama ma la
situazione è interessante dal punto di vista linguistico perché
i personaggi sono caratterizzati dal modo in cui parlano.
Pantalone, da buon forestiero, parla italiano, un italiano
letterario, corretto e preciso, ma Vittoria parla un italiano
sicilianeggiante misto con maltesismi. Per conseguenza la
vignetta illustra il trilinguismo che vigeva a Malta, almeno
nell’ambiente socialmente elevato e urbano. La situazione
dovette avere impressionato il buon monsignore che, arrivato da
Palermo, sentiva la gente semicolta parlare un tipo di siciliano
che a lui sembrava piuttosto peculiare, tanto che “osservata la
maniera con la quale parlano corrottamente le Donne Maltesi in
italiano, compose il presente intermezzo, che restò molto
accetto, e di gusto universale”.
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