Per dare un’idea sarà
sufficiente citare qualche frase di Vittoria come la seguente:
“Chistu è un homu assai commodu / La mia fortuna un giornu pozzu
fari”. Agli occhi del linguista di oggi la “corruzione” della
parlata di Vittoria consiste soprattutto di elementi fonologici
di tipo vocalico (homu, giornu, spissu, donni, pirchì),
morfologici (pozzu, sugnu, duvria, mi piacinu, avistiu, dugnu,
sacciu, saria iu, dunca, a mia, chistu, chillu, cussì) e tre
tipi di elementi lessicali: voci siciliane (aucellu, la matri,
acussina, cumpari), parole siciliane o italiane adottate nel
maltese con modifiche fonetiche o semantiche (alienata,
furastier, seggiu, cirimonij, giudiziu, custumi, geniu, paroli,
gilusia, fastidiu, licenzia, gioia) e parole maltesi di origine
araba (musbiech, ghesuira, mirhbabich, iahasra, marric, musc
tabilhac, iena n’ithach, iggri, calbi, imsci, mur, tir phal
hasfur). È da osservare che le parole maltesi ricorrono quando
Vittoria parla con la serva, oppure nei monologhi (da sé) e
consistono generalmente di referenti a oggetti o usanze locali,
oppure caratterizzano sfoghi di forte emotività.
Il testo permette di trarre la conclusione che nel primo
Settecento a Malta, benché l’italiano si fosse stabilito quale
acroletto ed era usato in modo molto corretto nel registro
scritto, tuttavia si parlava in situazioni informali in una
forma decisamente sicilianeggiante. Questo può spiegarsi con
riferimento sia alla continuità con l’uso prevalente prima del
periodo dei Cavalieri, cioè che i maltesi più o meno colti
continuavano a parlare il siciliano che era stato l’acroletto
nel periodo “siciliano”, cioè dagli Svevi agli Aragonesi, sia al
fatto dell’immigrazione massiccia dalla Sicilia e dall’Italia
meridionale che, ai livelli inferiori della società, rafforzava
il carattere meridionale e sicilianeggiante dell’elemento
romanzo della lingua maltese (cfr. Brincat in questo volume pp.
29-39; Brincat 1992, Alfieri 1995-246). È da tenere presente che
ancora oggi le voci italiane che vengono adottate nel maltese
subiscono regolarmente l’adattamento vocalico, e occasionalmente
anche consonantico, al sistema siciliano (Brincat 1980).
Fino a questo punto mi sono soffermato sull’azione diretta di
alcuni membri dell’Ordine relativa alla promozione scientifica e
all’uso effettivo del maltese come lingua parlata nell’ambiente
socialmente inferiore del lavoro e in quello domestico. Abbiamo
visto che in entrambi gli ambienti era in atto il processo di
italianizzazione, teso soprattutto all’arricchimento lessicale.
Adesso cercherò di illustrare gli effetti dell’azione indiretta
dell’Ordine sulla lingua maltese, cioè l’evoluzione di una
situazione linguistica che ha permesso da un canto la
sopravvivenza della lingua locale e dall’altro la sua
standardizzazione. |
Ritratto di Michelangelo Merisi di Caravaggio effigiato
con la grande Croce bianca dell’Ordine, opera di Ottavio
Leoni, conservata ad Avignone in una collezione privata.
Del grande pittore, Cavaliere d’Obbedienza dell’Ordine,
la Sicilia conserva numerose opere.
Portrait of Michelangelo Merisi di
Caravaggio depicted with the Order’s great white cross,
by Ottavio Leoni, conserved in Avignon in a private
collection. Sicily possesses numerous works of the great
painter, Knight of Obedience in the. |
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Esaminiamo prima di
tutto la questione della sopravvivenza del maltese. Perché
l’arabo che si parlava in Sicilia, specie nelle zone
occidentali, è stato abbandonato a favore della parlata romanza
(Alberto Varvaro la chiama il mozarabico siciliano; 1981: 116)
che è diventata il dialetto siciliano? Le condizioni che si sono
maturate in Sicilia dal periodo normanno fino al Settecento si
sono rivelate favorevoli a un tale decorso, anche nell’assenza
di una consapevole politica linguistica (che non si può
escludere ma in verità non è documentata). Determinanti sono
stati i fattori dei movimenti demografici, soprattutto
dell’urbanizzazione, e del prestigio sociale. Tuttavia questi
due fattori erano presenti anche a Malta, eppure l’arabo non
scomparve, cioè la parlata che in Sicilia divenne sostrato (il
che è stato studiato da studiosi come Pellegrini, Caracausi, De
Simone e Sgroi) a Malta rimase lo strato principale. Comunque,
se non scomparve, l’arabo di Sicilia a Malta subì modifiche
molto importanti. Sia detto subito che, se i Cavalieri avessero
voluto imporre una politica linguistica tesa alla sostituzione
dell’arabo con una lingua romanza, in duecento anni non
avrebbero incontrato grandi difficoltà a realizzarla. Eppure una
tale politica non fu mai applicata, e questo è stato
determinante per garantire la sopravvivenza del maltese. I
Cavalieri avevano ovviamente adottato il latino come lingua
ufficiale formale e l’italiano come lingua veicolare per
l’interazione tra i vari gruppi etnici, ma l’Ordine era
essenzialmente internazionale e non s’identificava con nessuna
delle lingue nazionali. Anche se la maggioranza dei Cavalieri, e
dunque pure dei Gran Maestri (come abbiamo visto nella mia prima
comunicazione, qui a pp. 29-39) erano di lingua francese o
spagnola, essi non ritenevano utile, né desiderabile, cambiare
la lingua del popolo indigeno. Questo atteggiamento si fece
sentire anche sui maltesi, i quali svilupparono uno spiccato
senso di autonomia non solo per causa dell’isolamento
geografico, che è sempre un fattore conservatore, ma anche
perché l’avvicendamento di Gran Maestri appartenenti a “lingue”
diverse favoriva quel senso di autonomia etnica che si era già
ben radicato nel periodo “siciliano”, dagli Svevi ai Castigliani
(cfr. Bresc 2000 e Brincat in stampa). Questo sentimento venne a
galla verso la fine del Settecento con l’espressione di atti
d’insofferenza politica paralleli a quelli espressi nella
Corsica di Pasquale Paoli. Dovette pure avere un peso anche dopo
la cacciata dell’Ordine e la rivolta contro Napoleone, quando i
maltesi rifiutarono di tornare al Regno delle Due Sicilie, non
solo perché temevano il ritorno di Napoleone, in considerazione
della debolezza politica e militare dei Borboni, ma anche perché
non si identificavano più completamente con i Napoletani e i
Siciliani. Per conseguenza preferirono consegnarsi alla Gran
Bretagna.
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