Gli effetti della politica dell’Ordine sulla situazione linguistica di Malta erano più sottili, e anche più profondi e duraturi. Il primo evento significativo fu proprio lo spostamento del potere dal centro dell’isola, la vecchia e piccola città fortificata di Mdina o Notabile che sorgeva su un colle, alla zona del porto. Questo rispondeva a un’esigenza fondamentale. L’Ordine era strettamente legato alla sua marina e pertanto si stabilì sulle sponde del Porto Grande e nei primi decenni sviluppò il borgo che era sorto attorno al Castello a Mare, oggi Sant’Angelo, costruendo le tre città di Vittoriosa, Senglea e Cospicua. Poi, siccome l’assedio del 1565 aveva rivelato la fragilità di quella zona, decisero di fondare la città di Valletta dove sorgeva il colle disabitato della penisola che divideva i due grandi porti. Questa decisione cambiò l’assetto demografico dell’isola. Se prima le abitazioni erano sparse per le campagne dell’interno, in quattro zone isolate l’una dall’altra, la costruzione della nuova città di Valletta attirò un afflusso massiccio da tutti i comuni rurali. L’offerta di opportunità lavorative nuove e più sicure determinò la conseguenza della standardizzazione linguistica. Questo significa che gli abitanti delle varie zone rurali, ognuna delle quali aveva le sue peculiarità linguistiche, soprattutto fonetiche, ma talvolta anche lessicali e morfosintattiche (Vassalli 1796: XVI-XIX), sradicati dall’ambiente dove erano cresciuti e dove si parlava la varietà diatopica locale, e inserendosi in un ambiente dove mancava una varietà cittadina, proprio perché la zona era stata disabitata, si limitarono a eliminare le peculiarità troppo marcate. Nacque così una varietà di maltese “ripulito”, “neutralizzato” (Brincat 1992). La rapida crescita demografica della zona del porto e la posizione preminente di Valletta diede a questa varietà il prestigio che la parlata della vecchia città di Mdina (o Notabile) non aveva mai esercitato sulle parlate delle campagne.
  Un altro fattore determinante per la formazione del maltese standard era il contatto con i forestieri. Nel 1530 l’Ordine portò di colpo circa 600 Cavalieri con qualche migliaio di marinai, soldati, artigiani, servi e schiavi, insieme con alcuni Greci che li seguirono da Rodi. Abbiamo cifre precise per l’anno 1632, ed è lecito supporre che queste cifre fossero rimaste stabili fino al 1797: 621 Cavalieri, 3080 marinai, 649 schiavi per un totale di 4,350 persone. Naturalmente ogni gruppo parlava la propria lingua ma abbiamo già detto che la lingua veicolare era l’italiano e che la maggioranza della manodopera era di origine siciliana. L’immigrazione rimase consistente per tutto l’arco di tempo del dominio dell’Ordine, tanto che la popolazione crebbe da 16.000 nel 1526 a 100.000 nel 1797. Per apprezzare il significato di queste cifre bisogna ricordare che nel frattempo in Europa la popolazione iniziò ad aumentare solo dopo il 1750, che in Sicilia il numero degli abitanti rimase stabile intorno al milione tra il 1570 e il 1713, e che a Napoli il numero di famiglie era sceso da 540.000 a 390.000 tra il 1595 e il 1669.
  L’aumento costante della popolazione di Malta non poteva essere naturale, specie se si tiene conto di eventi negativi come le razzie e l’assedio dei Turchi, la fuga di famiglie intere verso la Sicilia, e le decimazioni dovute alla peste, controbilanciati da eventi positivi come l’arrivo di rinforzi e di manovali dalla Sicilia per la difesa dell’isola e per la costruzione di Valletta e delle fortificazioni.
  Con la costruzione della nuova città di Valletta, e con il suo sviluppo dinamico dai punti di vista commerciale e culturale, tutta la zona del porto continuò a crescere. La popolazione delle tre città, nella zona detta anche la Cottonera, non diminuì perché le due sponde del Porto Grande si divisero le attività principali: la nuova città divenne il centro politico, amministrativo e culturale, mentre le insenature della sponda opposta continuarono a servire la flotta, con la costruzione, la riparazione e il rifornimento delle navi. La crescita di Valletta e della zona del porto in rapporto con l’aumento della popolazione di tutta l’isola, balzò dal 5,9% del 1528 al 25% con l’insediamento dell’Ordine, al 30% nel Seicento e raggiunse il 40% nel Settecento. Queste cifre permettono di calcolare l’esposizione dei maltesi alla lingua degli stranieri e spiega perché il dialetto arabo assorbì sempre più termini siciliani e italiani. I contatti sociali comportano sempre contatti linguistici, e un evento importante che rendeva questi contatti frequenti e duraturi fu il rifiuto dell’Ordine di istituire il collacchio, cioè la zona riservata ai Cavalieri, sia nel borgo (Vittoriosa) sia a Valletta. Si sa che la Santa Sede aveva esercitato una certa pressione a favore del collacchio, ma il rifiuto dell’Ordine fece sì che i maltesi, i Cavalieri e i loro dipendenti s’incontrassero liberamente.
  L’intimità dei contatti fra i maltesi e i dipendenti dei Cavalieri, o comunque con gli immigrati che li seguirono, viene comprovata dai documenti parrocchiali. Vale notare che i registri battesimali della parrocchia di Porto Salvo (dei Domenicani) a Valletta per gli anni 1600-1613 mostrano un numero piuttosto alto di nascite illegittime, un fatto che non sorprende in un porto. Quello che c’interessa di più è che oltre la metà di questi neonati aveva un cavaliere come padrino. Naturalmente non si può escludere che questo possa indicare una responsabilità genetica, ma nella cultura locale la scelta del padrino è un segno di profonda stima e forse anche la speranza di ottenere la sua protezione. Per conseguenza il costume di scegliere un padrino che era un cavaliere era sintomatico degli ottimi rapporti che correvano tra i Maltesi e l’Ordine. Un altro fattore significativo è l’analisi dei cognomi dei padri perché rivela il modo in cui gli immigrati venivano assimilati nella comunità locale. Sempre nei registri suindicati, si osservano nove cognomi tipicamente maltesi (Abela, Azzopardi, Bonnici, Borg, Ciantar, Farrugia, Grec, Mallia, Pace) che occorrono più di 20 volte ciascuno nel periodo 1600-1613, e altri sei (Magro, Portelli, Schembri, Sciberras, Spiteri e Zahra) che occorrono tra dieci e venti volte ciascuno. Per conseguenza si riscontrano quindici cognomi maltesi che appaiono complessivamente 300 volte circa, insieme con molti cognomi che non sono comuni a Malta. La maggioranza di questi sono italiani, e nel registro si ripetono pochissime volte. A parte il cognome “Napolitano”, che ha tredici occorrenze, si contano 244 cognomi diversi che si riscontrano soltanto una o due volte (Brincat 1991, 1992). Si tratta dunque di uomini immigrati che si sposarono con donne maltesi, e per i quali la nascita dei figli sarebbe stata un motivo ulteriore per scegliere la sistemazione permanente nell’isola. È da notare pure che, sempre nella stessa parrocchia della Valletta, il totale dei neonati che furono battezzati con un cognome straniero è quasi uguale al totale dei bambini che portavano un cognome maltese.
  Per illustrare i rapporti tra i maltesi e gli stranieri nelle città di Valletta, della Cottonera e dell’interno sono altrettanto indicativi i registri matrimoniali. Se si confrontano le percentuali dei matrimoni misti celebrati alla Valletta con quelle di altre località più lontane dal porto, si vedrà che tali matrimoni si riducono progressivamente più cresce la distanza dal porto. Non sorprende il fatto che nei due periodi che ho esaminato, il 1600-1650 e il 1750-1800, il numero maggiore di matrimoni misti fu celebrato a Valletta. Tra il 1600 e il 1613 su 235 matrimoni 51 avevano uno sposo straniero, e tra il 1627 e il 1650, su 1131 matrimoni ben 366 avevano uno sposo straniero, raggiungendo rispettivamente il 21% e il 32%.

 

  pagina precedente / back to previous page
indice / back to summary
pagina successiva / next page