Invece il tasso scende drasticamente appena si allontana dal porto: a Tarxien, benché distasse solo 2 km dal porto ma dove l’Ordine non aveva strutture, solo in 16 dei 235 matrimoni figurava uno sposo straniero (il 6,8%), e a Naxxar e Bir Miftuh, più lontane, ce n’erano ancora meno: 8 su 381 e 6 su 332, (rispettivamente il 2,1% e l’1,8%). È da notare che a Naxxar l’Ordine aveva una fortificazione e a Bir Miftuh c’era una Capitaneria. Nella seconda metà del Settecento le percentuali dei matrimoni misti a Senglea e Vittoriosa, le città sorte sui promontori della parte orientale del Porto Grande, sono inferiori ma forse questo si può spiegare con il fatto che nel Settecento la popolazione indigena della zona era ormai stabile, ed era salita da 28.000 nel 1726 a 370.000 nel 1797. Tra il 1750 e il 1798 a Qormi, che dista solo 2 Km dal Porto, ci furono soltanto due sposi stranieri, mentre a Balzan, Lija, Mosta, Kirkop e Siggiewi non si registrò nessun matrimonio con uno sposo straniero.
  Nei registri parrocchiali la provenienza dello sposo viene indicata con il nome della città o dello stato dove era nato, o da dove era partito, però molto spesso viene definito solo come “estero”. Tuttavia è chiara la preponderanza degli Italiani, e soprattutto dei Siciliani per ovvie ragioni, come la vicinanza geografica e le affinità di costume, mentalità, religione e lingua. Dove i registri recano informazioni complete questa tendenza risulta molto chiaramente: a Senglea su 80 sposi stranieri ben 64 erano italiani e 37 di questi erano siciliani. A Naxxar degli otto sposi stranieri sette erano italiani, di cui cinque erano siciliani. Anche alla Valletta, dove apparentemente gli sposi francesi erano più numerosi, 149 contro 125, un’occhiata ai cognomi di quelli indicati solo con la qualifica “estero” rivela che nella maggioranza erano italiani. La tendenza viene confermata dal registro delle domande presentate alla Curia vescovile da stranieri che volevano prendere una sposa maltese: su 170 sposi gli italiani sono 123 e i francesi sono 34. Vale notare che in molti casi questi provenivano dai porti del Mediterraneo: Napoli (15), Marsiglia (12), Venezia (10), Livorno (10), Genova, Palermo e Procida (9 ciascuno). Per completare il quadro dell’intimità dei contatti tra le donne maltesi e gli immigrati mancano solo le statistiche riguardanti le relazioni illecite. Non si possono escludere, anche se sembra esagerato il calcolo fatto da un religioso che nel 1777 scrisse che non meno di 4200 matrimoni furono messi in crisi per causa dei cavalieri.
  La situazione linguistica degli ultimi anni del dominio dell’Ordine a Malta fu descritta da uno studioso locale, Michel Antonio Vassalli che pubblicò una grammatica nel 1791 e un vocabolario nel 1796. Nel “Discorso Preliminare” del suo Lexicon Melitense-Latino-Italum, Vassalli tracciò un profilo dialettale dell’isola, riconoscendo cinque varietà identificate con cinque zone diverse delle isole (1796, par. XVII-XXIII). Può sorprendere sentir parlare di differenze dialettali in un’isola di 246 km quadrati, ma non bisogna dimenticare che a quei tempi la gente non si muoveva molto (generalmente a piedi) e frequentava solo i paesi vicini. Comunque, a noi più che le varietà rurali interessa l’individuazione del “dialetto di città” o “del porto” che viene descritto come “il più corrotto, non solo per la frequenza de’ forestieri, la quale molto influisce nelle lingue, ma per un certo fanatismo che alcuni hanno di maltizzare voci estere e di barbarizzare l’idioma nativo con espressioni siciliane, italiane, francesi, e simili, non già nelle nuove denominazioni di usi e cose estere, locché alle volte è necessario, ma nell’adattar quelle e sostituirle alle vere nazionali e più espressive” (Vassalli 1796, par. xviii). La censura dello studioso non solo rispecchia il punto di vista del semitista ma è consona al clima culturale dell’epoca che tendeva a privilegiare le forme antiche e considerava l’innovazione come corruzione. Il linguista di oggi rovescia il giudizio e ci vede l’evolversi di una nuova varietà che, nascendo nella zona più dinamica dell’isola, risponde meglio alle nuove aspirazioni sociali, culturali e materiali e che era destinata a diventare, con l’azione diretta della scuola e dei mezzi di comunicazione, e con la maggiore mobilità favorita dai trasporti motorizzati, a diventare il maltese standard. Se i Cavalieri non avessero sviluppato la zona del porto e costruito la nuova capitale, Valletta, il maltese sarebbe stato sensibilmente diverso.
Agius De Soldanis G.F., 1750, Nuova scuola di grammatica per agevolmente apprendere la lingua Punica-Maltese, Roma.

Anfora di fattura siciliana, con lo stemma inquartato e coronato del Gran Maestro Antonio Manoel de Vilhena (1722-1736). Museum of Fine Arts. Valletta.

Amphora of Sicilian production, with the quartered and cronned crest of Grand Master Antonio Manoel de Vilhena (1722-1736). Museum of Fine Arts, Valletta.

Anfora di fattura siciliana, con lo stemma inquartato e coronato del Gran Maestro Antonio Manoel de Vilhena (1722-1736). Museum of Fine Arts. Valletta.

 

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