L’occasione per
confermare l’opportunità della sua nomina arrivò presto
durante la giornata di Tunisi e la conquista della Goletta,
alle quali contribuì con le sei galee che comandava,
dimostrando grande coraggio e capacità di comando.
Con altre cinque galee partecipa alla campagna del
1540-1541, unito alla grande flotta di 51 galee di Doria,
che inizia con la conquista delle città tunisine di Monastir,
Susa, Mahometa e Calibra, e termina con la sconfitta di
Algeri.
La Controffensiva Turca e Berbera non si fece attendere, e
effettuò una successione di attacchi a navi e città costiere
spagnole e italiane, approfittando dell’alleanza con
Francesco I di Francia il cui obiettivo era distruggere, a
qualsiasi costo, il potere di Carlo V.
Nel 1543, la squadra di don García di Toledo si unisce a
quelle della Santa Sede, dell’Ordine di Malta e di Genova,
per intraprendere una razzia nei confronti delle coste e
delle isole greche; al ritorno la squadra si imbatte
casualmente in tre navi e un galeone in cui vi era il
bottino, frutto del saccheggio alla città di Villafranca,
che il corsaro Barbarossa consegnava al sultano. Catturate
le navi, Don García di Toledo fece un’entrata trionfale
nella città di Messina.
La città di Mehedia o Mehdiyé, nota agli spagnoli come
Africa, era la base di uno dei più potenti pirati berberi,
Dragut; per questo nel giugno del 1547, un’importante
flotta, al comando di Don Juan di Vega, viceré di Sicilia,
la mise sotto assedio, e nonostante il soccorso che ebbe
dalle vicine città musulmane, fu conquistata l’8 settembre
grazie alla realizzazione di un’ingegnosa idea di don García
di Toledo, consistente in quello che oggi si potrebbe
soprannominare “Batteria volante”.
Infatti, nonostante la parte terrestre fosse strettamente
assediata, le sue difese erano formidabili, in quanto
avevano un doppio recinto murario fiancheggiato da torri e
con un largo fosso che impediva l’attacco dell’artiglieria
spagnola. Di conseguenza il Marchese di Villafranca decise
che si doveva abbattere la parte del recinto murario che
guardava il mare, per consentire l’avvicinamento
dell’artiglieria. Diede l’ordine, dunque, di unire due delle
galee, chiamate Brava e Califfa, per mezzo di tavole, e
levati i remi e gli alberi, formò una piattaforma nella
quale mise nove dei più potenti cannoni della batteria,
coprendoli con un parapetto. Avvicinatosi al muro e
contemporaneamente scoperti i cannoni, aprì il fuoco,
aprendo il varco attraverso il quale si conquistò la città.
Nel 1548 don García scortò, ponendosi nella posizione più
avanzata, la flotta di 80 imbarcazioni che condusse il
Principe don Filippo, futuro Filippo II, da Rosas a Genova.
Nel 1552, la grande passione per il mare di don García
soffre una crisi profonda dopo un navigare continuo di 24
anni, ed egli non solo sollecita l’Imperatore per essere
sollevato dall’incarico ma si dimette. L’imperatore accetta,
anche se fa notare il suo risentimento per il vedersi
privato dei suoi competenti servizi, e lo premia con un
ruolo di terra importante, come esprime nella lettera a suo
padre, il viceré don Pedro: “desiderando D. García di
Toledo, vostro figlio, lasciare l’incarico dalla galee di
questo regno, anche se fino ad oggi siamo stati
onorevolmente serviti e desidereremo che non lasciasse il
suo attuale ruolo, lo abbiamo accontentato per il danno che
altrimenti si recherebbe alla sua salute; ma essendo la
persona che è, e per il modo in cui ci ha reso i suoi
servizi, affinché non rimanga senza un incarico, gli abbiamo
dato il ruolo di Colonnello Generale della Fanteria spagnola
di questo regno, confidando che in questo ruolo farà ciò che
ci si aspetta dal suo valore e coraggio”1.
Nel suo singolare “Discorso sopra gli inconvenienti che
hanno gli incarichi di generale di galee”, che corrisponde
cronologicamente al preciso momento in cui sotto sua
richiesta viene rilevato dal comando, si manifestano
chiaramente i suoi momentanei sentimenti personali
anti-marittimi, ed egli sottolinea che “la scomodità del
navigare abbrevia la vita, perché il sole del giorno e
l’umidità della notte, con altri inconvenienti che si hanno,
distruggono la salute e possono portare alla morte”2;
ma vi sono anche buoni consigli dettati dalla grande
esperienza, tra i quali sottolinea il grande errore di non
pagare con puntualità la truppa, riferita in questo caso
alla truppa di mare, che sarà uno dei motivi del malcontento
della milizia durante tutto il periodo di egemonia spagnola,
dal momento che il soldato pur non astenendosi dai suoi
servizi, si comporta come meglio ritiene, causando
disordini, svalutando il buon nome spagnolo e pregiudicando
alleanze politiche.
Inizia così il periodo militare nella vita dell’uomo di
mare, che si svilupperà tra l’Italia e le Fiandre, di cui
l’episodio più brillante sarà la campagna che dirigerà come
generale contro Siena, città alleata del Papa, nemico della
Spagna, e che avrà il suo apice nella nomina come Viceré e
Capitano Generale di Catalogna e Sicilia.
Ma neanche durante questa fase don García dimentica il
mare, dal momento che durante la sua permanenza a Barcellona
supervisiona con grande capacità e competenza alla scelta
dei materiali per la costruzione delle galee ordinate dal
nuovo Re, Filippo II, che deciderà di reinserire Toledo
nella vita marittima con il più grande ruolo del
Mediterraneo: quello di Capitano Generale del mare che a suo
tempo aveva avuto Andrea Doria, comandando le squadre di
galee di Spagna, Napoli, Sicilia e Genova, e qualsiasi altra
formazione che si fosse creata in questo mare, sotto il
servizio del Re.
La nomina viene fatta nel 1564 e don García consiglia al
Re di annettere questo incarico a quello di viceré di
Sicilia, per la situazione strategica dell’isola, che se
dotata di un buon arsenale e sotto un’eccellente guida,
potrebbe costituire una valorosa base contro la pirateria,
evidenziando con questa richiesta, sia il suo desiderio di
assumere il suo nuovo incarico di Comandante Generale,
quanto la sua provata fortuna nel mare e il fatto che questa
è la sua vocazione: “essendo cresciuto nel mare, dove mai è
accaduta nessuna circostanza sfavorevole, data la naturale
inclinazione, senza timore di fare nella vecchiaia ciò che
si fece nella giovinezza”3.
A Filippo II non piacque l’idea del doppio incarico, però a
titolo personale, acconsentì a che il 7 ottobre dello stesso
anno gli si desse la nomina di Viceré di Sicilia, senza
rinunciare al comando supremo navale del Mediterraneo.
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[1] Recogido por Cesáreo
Fernández Duro. “Armada Española desde la unión de los
reinos de Castilla y de Aragón” (1895). Madrid, Museo Naval,
1972, p. 62
[2] “Discurso
representando á S.M. las ventajas que resultarían de
juntarse el cargo del reino de Sicilia con el de la mar”.
Barcelona 1564. Museo Naval, col Navarrete, tomo XII, doc.
78.
[3] Idem
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