L’aprile precedente si
erano intrapresi grandi attacchi navali contro i berberi, e Don
García aveva ricevuto l’ordine di riunire le galee alleate di
Savona, Genova e Firenze e imbarcare in esse truppe spagnole di
Lombardia, Napoli e Sicilia e mercenari tedeschi per unirle a
quelle di Spagna, Malaga e Portogallo. Tutte queste forze,
comandate da Don García, avevano come meta Peñón de Vélez de la
Gomera, luogo quasi inespugnabile di pirati e fulcro del
commercio delle Indie. Il 6 di settembre il Generale del mare
scriveva al Re: “Dio ha fatto la grazia a V.M. di espugnare il
luogo più forte del mondo... Miracolosamente ha dato a V.M. un
buon successo, perché dallo stretto di Costantinopoli a quello
di Gibilterra, non vi è luogo più forte”4.
Mentre Don Alvaro di Bazán, seguendo il piano di Don García,
ostruisce il fiume di Tetuán, chiudendolo con massi per renderlo
inutilizzabile ai corsari marocchini, nella primavera del 1565,
il nuovo Viceré siciliano, consapevole dei terribili piani del
sultano Solimano, visita e ispeziona i possibili obiettivi del
nemico, in particolare Tunisi e Malta, dove lascia come capo suo
figlio don Fadrique che morirà eroicamente nel successivo
assedio turco.
Infatti, quando questi sbarcano prima del previsto, i soldati
presenti sollecitano l’aiuto di Filippo II che si mostra
dubbioso anche perché il suo capitano del mare lo sollecita
affinché vada in soccorso dei Maltesi indicando in una delle sue
lettere: “Preferirei stare nel profondo del mare sperando che
forse si possa rimediare a ciò che dico”5;
nel momento in cui cade il Castello di San Telmo, considerata
Malta la porta dell’Italia, si prospettano due possibilità: la
prima di fare un attacco dal mare e la seconda di effettuare uno
sbarco numeroso dal momento che “il piccolo soccorso” di 600
uomini, guidato da Don Melchor il 20 giugno, si era rivelato
totalmente insufficiente.
Scelta la seconda possibilità, Don García ordina di costituire
30 flotte di sbarco, raggruppando l’intera flotta a Messina, e
quando il 7 settembre i turchi preparano l’attacco definitivo al
forte di San Miguel e al bastione di Castilla, l’arrivo degli
ottomila uomini al comando di Don García li fa desistere da
questo proposito il 13 dello stesso mese. Il giorno seguente,
Don García e il Gran Maestro La Vallette si abbracciano
felicemente dopo la liberazione, ispezionando le fortificazioni
e stabilendo la ricostruzione del formidabile bastione di San
Telmo con maggiori proporzioni e con una configurazione più
regolare.
Il grande Ispanista Hume era convinto che il vero artefice
della decisione di Filippo II di liberare Malta era stato Don
García, osservando che “Toledo era fuori di sé”. Si inviarono
uomini dalla Sicilia altri furono reclutati in Corsica. Napoli
si preparò per difendersi, e Toledo si lamentava dei lenti
metodi adottati dal suo Re in un periodo di così grandi
difficoltà”6.
Il 5 novembre Filippo II scriveva a don García: “Questo
servizio è stato tanto prezioso per il bene della cristianità e
dei nostri stati e signori, che mi avete dato un nuovo obbligo,
e così potete stare certo che vi onorerò”7.
Don García aveva perso il suo figlio naturale, Don Fadrique,
nel potente assedio. Morì difendendo eroicamente il bastione di
San Miguel, distrutto da un colpo di cannone, insieme ad altri
compagni dell’Ordine di San Juan.
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[4] Colección de
Documentos Inéditos para la Historia de España (Co. Do. In.)
Tomo XXVII, pp. 466 y 467..
[5] Carta de don García al
Rey exponiéndole la necesidad de socorrer a Malta. Mesina,
31 de mayo 1565. Co. Do. In. Tomo XXIX, p. 165..
[6] William Thomas Walsh. “Felipe II”.
Madrid, Espasa Calpe, 1958, p. 426.
[7] Co. Do. In. Tomo XXIX,
p. 567.
[8] Walsh. “Felipe II”, p.
570. .
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