MANOVRE INTERNAZIONALI PER IL CONCLAVE |
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I paesi di lingua ispanica vogliono contare di più. E intanto, dall'Africa...
Se tutte le strade portano a Roma, i grandi intrighi geo-politici tornano a
concentrarsi nel piccolo Stato della Città del Vaticano. Oggi tutti i riflettori
internazionali sono puntati su quella Basilica di San Pietro e sui Sacri palazzi
circostanti che Giovanni Paolo II ha trasformato nei 26 anni di pontificato in
un formidabile centro di potere dal quale si possono influenzare i destini del
mondo.
Ambasciate, gruppi d'interesse, potenti lobby religioso-economiche sono
mobilitati per ispirare le scelte dei 120 cardinali di 55 differenti paesi che
parteciperanno al futuro conclave. Con quale successo non si sa, perché, avverte
l'ambasciatore Carlo Marullo Condojanni del Sovrano militare ordine di
Malta, uno dei più attenti osservatori all'interno del Vaticano, «anche nei
tempi della realpolitik, e quando sembra essere passato di moda l'intervento
dello Spirito Santo, alla fine davvero le lobby contano poco o niente, al di là
degli stessi auspici delle singole Chiese, italiana e latinoamericana in
particolare».
Sta di fatto però che, man mano che peggiorano le condizioni del Papa, si
riscalda il clima preelettorale per la successione, che non riguarda solo le
correnti interne alla Chiesa, ma i complessi equilibri internazionali.
Cominciamo dagli Stati Uniti. L'invasione dell'Iraq e la campagna
ideologica che la precedette hanno creato un vulnus nei rapporti fra Usa e Santa
Sede. Dopo un periodo di reciproche diffidenze, coinciso con le dichiarazioni
pacifiste dell'osservatore della Santa Sede all'Onu, Renato Martino, e con le
prese di posizione anti guerra preventiva del cardinale francese Jean-Louis
Tauran, il Vaticano ha riequilibrato la propria politica estera. Lo ha fatto
nominando al Palazzo di Vetro il pragmatico e prudente Celestino Migliore, e
segretario per i Rapporti con gli stati Giovanni Lajolo, una delle menti più
raffinate della diplomazia vaticana. Tutt'e due sono stati attenti a ricucire lo
strappo con gli Stati Uniti.
Il disgelo successivo ha portato il presidente George W. Bush a prestare un
occhio meno impaziente a quel che accade in Vaticano. Il nome che è stato
ripetuto a Bush con più insistenza dai circoli cattolici americani come
possibile candidato alla successione di Papa Wojtyla è quello del cardinale
tedesco Walter Kasper, 72 anni, già docente di teologia all'Università cattolica
di Washington, attualmente presidente del Consiglio pontificio per la promozione
dell'unità dei cristiani e responsabile per le relazioni con gli ebrei.
Di tutt'altro avviso Vladimir Putin. Sotto pressione da parte del
patriarca ortodosso di Mosca, Alexei II, che ha chiesto aiuto e consigli all'Fsb,
l'ex Kgb, interessato alla stabilità interna, il capo del Cremlino sta puntando
su candidati meno ostili e più ecumenici, soprattutto ora che le aree di
influenza si stanno restringendo. Non è un mistero che l'ambasciata russa a Roma
veda assai di buon occhio il cardinale Martino, in quanto lanciere delle
posizioni antiamericane, ma soprattutto Giovanni Battista Re, considerato un
iperrealista con enorme influenza sull'intero corpo dei vescovi.
Non mancano ovviamente altre aspirazioni. Le ambasciate arabe, per
esempio, fanno fuoco di sbarramento contro il cardinale Carlo Maria Martini,
giudicato troppo vicino all'Ebraismo. Ma la vera novità è la crescente
mobilitazione dei paesi di lingua ispanica, che formano un blocco compatto e che
ora vorrebbero a tutti i costi un loro rappresentante al vertice della Chiesa.
Il cardinale più gettonato è l'arcivescovo dell'Honduras Oscar Rodriguez
Maradiaga, 62 anni.
Contro i paesi latinoamericani si schierano quelli del Terzo mondo africano e,
in parte, asiatico. Per loro l'unico principe della Chiesa in grado di far
crescere ancora il numero dei battezzati nel mondo è Francis Arinze della
Nigeria, 72 anni, una lunga permanenza nella curia e un grande carisma. Sarebbe
il primo papa nero.
Pino Buongiorno