Ma lo spettacolo delle fortificazioni che si stagliavano contro il cielo, doveva destare non poche preoccupazioni anche tra le fila degli attaccanti. Una doppia cinta di mura, saldamente collegata alla roccia naturale e a picco sull'acqua, correva intorno alla cittá e, a rafforzarla sui tre lati, verso la terraferma, c'era un fossato profondo tra i sessanta e i centoquaranta piedi. La cerchia incorporava tredici torri e la cittá era dominata dall'alto campanile della chiesa di San Giovanni. Ovunque cannoni pronti a far fuoco.

In quanto a determinazione, il Gran Maestro ne dá subito una eloquente dimostrazione: Filippo De Villiers de I'Isle Adam ordina di incendiare le ville e le residente estive per evitare che nei lussureggianti giardini, ricchi di piante esotiche, i nemici possano trovare nascondigli. E per dare l'esempio, dispone che l'opera di demolizione cominci dalla sua splendida dimora. Terra bruciata anche dentro le mura, in attesa dell'avversario.

Intanto la morsa si stringe. Migliaia di schiavi sbarcano dalle navi artiglierie di ogni calibro, mentre le colline circostanti si coprono di vessilli e di tende multicolori. Quando i turchi aprono il fuoco, l'isola pare incendiarsi. Dalla cittá i cannoni rispondono e le torri, riferisce uno storico, sembrano emergere da una nuvola di fumo. Dalla parte degli ottomani stanno il numero, la potenza, la formidabile organizzazione militare e il fanatico disprezzo della propria vita e di quella altrui. Sul fronte dei Giovanniti, il coraggio gioioso della Fede e il genio di un Cavaliere: Gabriele Martinengo, il piú famoso ingegnere di assedio del tempo. Ha lasciato Candia dove era al servizio della Serenissima, per raggiungere i confratelli e mettere a loro disposizione tutte le astuzie che le sue geniali capacità tecniche gli suggeriscono.

Il duello di artiglierie si protrae ininterrottamente per giorni e giorni. Poi, il 26 giugno, le truppe ottomane si preparano per il primo assalto. Lungo gli spalti i Gerosolimitani attendono il nemico. Sulle armature portano la veste da battaglia: la dalmatica rossa con la grande Croce bianca. Spiccano tra la massa e sono ben visibili anche da lontano. La loro stessa presenza, la vista della loro uniforme, bastano a rendere furiosi gli ottomani. Prima di raggiungere il proprio posto sulle mura, hanno ascoltato la Messa nella cattedrale di San Giovanni. Un giorno come gli altri, iniziato con la celebrazione del sacro rito. Ma quella mattina c'é con loro tutto il popolo di Rodi. Pescatori, contadini, gente semplice che si stringe intorno a quegli nomini che ha imparato a stimare e che per tanto tempo hanno difeso la loro libertà, le loro case e che della loro isola hanno fatto una patria rispettata e temuta.

Nel campo turco si é convinti che il lungo bombardamento abbia fiaccato la resistenza degli assediati e non si esclude la possibilitá che quella sia la giornata decisiva.

Preceduti dall'assordante frastuono dei tamburi e dalle grida dei comandanti, migliaia e migliaia di turchi marciano verso le mura. Ma percorse alcune centinaia di metri, quella massa umana sembra vacillare sotto i colpi di artiglieria che aprono tra le sue file vuoti spaventosi. E nonostante la valanga di fuoco e di pietre che precipita dall'alto, la marea brulicante raggiunge i bastioni e ne tenta la scalata.

É un massacro. Malgrado gli incitamenti e le minacce dei comandanti, l'esercito si ritira abbandonando sul terreno con migliaia di uomini, la speranza di concludere rapidamente l'assedio. Una giornata epica, alla fine della quale i Cavalieri ringraziano, nella cattedrale di San Giovanni, la Vergine del Fileremo loro protettrice. Nelle strade la gente festeggia la vittoria, ma l'assedio é appena cominciato e gli ottomani torneranno presto all 'assalto.

Innumerevoli gli attacchi dei duecentomila uomini che circondano Rodi. Ma ogni tentativo risulta vano e con il passare dei giorni le truppe cominciano a rifiutarsi di combattere. E' in gioco il prestigio stesso dell'lslam e per risolvere la delicata situazione, Solimano, informato della situazione, decide di assumere personalmente il comando delle operazioni. E il 28 agosto arriva con una nuova flotta. Porta con sé altri soldati e nuove artiglierie di una potenza fino a quel momento sconosciuta.

Nonostante tutto Rodi resiste. Il 4 settembre con una mina gli attaccanti riescono a far saltare una parte del bastione della Lingua d'lnghilterra e intorno a quella breccia la lotta si accende furibonda. Respinto a prezzo di grandi sacrifici, il nemico torna ancora il 24 settembre. Sará una delle giornate piú drammatiche: i caduti dalla parte dei turchi sono, secondo i cronisti del tempo, quindicimila. Un vera e propria strage.

Anche nella cittá la situazione si fa sempre piú grave. Le provviste cominciano a scarseggiare e la gente é sfinita mentre da Costantinopoli continuano ad arrivare rinforzi.

Seguono giorni difficili per gli assediati e all'alba del 17 dicembre, Solimano sferra l'assalto decisivo. Dopo ore e ore di lotta disperata, i giannizzeri superano la cinta di mura, ma con un ultimo sforzo il Gran Maestro e i confratelli superstiti riescono a ricacciarli indietro. Ormai é inutile continuare a lottare e i rodioti chiedono di trattare la resa con Solimano. Anche se ridotti a un centinaio, i Cavalieri respingono sdegnosamente una simile soluzione, ma Fra' Filippo Villier de l'Isle - Adam conosce l'atroce destino che, in caso di ulteriore resistenza, i conquistatori riserverebbero alla popolazione. Profondamente impressionato dal coraggio degli avversari, il sultano riceve il Gran Maestro con grande deferenza. Sa che Rodi é allo stremo, ma non dimentica che anche il suo esercito é molto provato e che la lotta potrebbe durare ancora giorni e giorni. E Solimano accetta le condizioni proposte: la cittá e la popolazione saranno risparmiate, ai Giovanniti consente di portar via quanto posseggono e assicura loro l'onore delle armi. Si permetterá, infine, ai rodioti che lo vorranno, di seguire i Gerosolimitani nel loro esilio.

Il 24 dicembre, dopo sei mesi di combattimenti, i turchi entrano a Rodi e all'alba del 10 gennaio (secondo alcuni cronisti la partenza avviene il 2), l'Ordine dell'Ospedale lascia la terra che per piú di due secoli é stata la sua patria. Sulle navi che prendono lentamente il largo, non sventola il rosso vessillo della Religione, ma un drappo bianco sul quale spiccano, ricamate in oro, l'immagine della Vergine e una scritta: «Afflictis Tu spes unica». Una scelta dettata dalla profonda devozione alla Madre del Salvatore ma nello stesso tempo, una denuncia contro la Cristianitá che ha abbandonato i suoi figli nel momento supremo.

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