CAPITOLO
V
I DISCENDENTI DI DON PIETRO MARULLO
SI STABILISCO- NO IN MILAZZO:
I Figli di
Don Pietro Marullo
Come a pagina 20 ho accenato, alla morte di
Pietro Marullo i suoi figli Girolamo e Giovanni
non trovarono che le briciole del cospicuo
patrimonio paterno. Evidentemente gli affari del
grande banchiere messinese erano negli ultimi
tempi andati male: i frequenti crolli di aziende
bancarie, di cui egli era corrispondente, gli
avevano inflitto ingenti perdite di denaro.
Per maggior disgrazia buona parte della sua
flotta mercantile era naufragata durante una
furiosa tempesta scatenatasi nel Mediterraneo.
Girolamo si era sposato nel 1513 in Palermo con
la cugina Isabella Marullo, figlia di Tommaso,
di Miuccio, barone di Saponara e Calvaruso, e
per la ingente dote della moglie non aveva
sentito il contraccolpo del dissesto paterno.
Di Giovanni non mi è pervenuta altra notizia o
traccia della sua esistenza, tranne un documento
da cui si rileva che questi due fratelli,
Girolamo e Giovanni, ebbero una lite per la
successione ereditaria paterna, lite che fu
composta nel 1529 con un atto di transazione
stipulato in Notar Mangianti.
Girolamo fu una personalità cospicua nella
Messina del suo tempo: per vane volte venne
chiamato a ricoprire la carica di Consulente
della città in rappresentanza della classe
patrizia, come risulta da atti autentici che ho
nel mio archivio.
Da lui e dalla moglie Isabella nacque Giovanni,
il quale, come il padre, fece parte del
Cansiglio ordinaria pelaritano. Egli fu il primo
di questa linea che orientò la sua discendenza
verso
i centri del Costretto: Milazzo, Santa Lucia,
Castroreale, centri ove circa un secolo dopo la
sua linea doveva fissare la residenza per il
susseguirsi di eventi di cui farò parola.
Don Giovanni sposa Betulla
d’Amico
Giovanni fu dunque il primo che, oltrepassata la
catena dei peloritani, mise piede come
possidente di terre nella Piana di Milazzo, e
ciò per avere sposato la nobildonna Elisabetta
(detta Betulla) d’Amico nel 1559. Il contratto
dotale di questi sposi fu rogato dal Notar
Francesco Pagana di Santa Lucia del Mela, e ne
detengo copia legale nel mio archivia. Tanto
Giovanni come Betulla, all’epaca del loro
matrimonio, non dovevano essere giovani di prima
pelo, giacché la sposo era nato intorno al 1520,
e la spasa era già vedova cpn due figlie avute
dal primo marito Masi di Mansueto. In compenso
però Elisabetta, detta Betulla, era nobilissima
perché figlia del magnifico Gasparo d’Amico
della insigne famiglia omonima, e castellano in
feudum della piazzaforte e Terra di Santa Lucia
del Mela.
Dagli stessi capitoli nuziali in notar Pagana
risulta che la sposa, oltre ad essere di
illustre casata, aveva una ricca dote costituita
dai cespiti seguenti:
Onze 510 in contanti;
Un latifondo in territorio di Milazzo contrada
Guntura consistente in vigneti, gelseti e
frutteti. Erano annessi a tale fondo: una casina
di abitazione e due grandi appezzamenti di terre
a seminerio;
Onze 600 in corredo;
Un magazzino con annesso giardino nella città di
Milazzo;
Due schiave di casa levantine;
Onze 27 annue di censi;
Un giardino coltivato a gelseti con annessa
casina di villeggiatura al Capo di Milazzo;
Altro fondo rustico in contrada Santa Flavia in
Milazzo;
Quattro salmate di terra in Santa Lucia del
Mela, a Seminerio.
Lo sposo si obblig6 di dare garanzia della dote
sul suo patrimonio costituito da beni che
possedeva in Messina tra cui la casa paterna,
ove la coppia andò a stabilirsi, e dove nacque
il figlio Francesco nel 1560-61. Nel 1564
Giovanni ebbe la nomina di Capitano di
Castroreale, e dove trasferirsi in
quell’importante centro rimanendovi alcuni anni.
Egli morì in Messina nella peste del 1575
lasciando il figlio Francesco giovinetto. La sua
vedova visse ancora qualche anno, ma nel 1581
era già morta, come si legge nei dotali del
figlio.
Francesco Marullo e d’Amico aveva trascorso
quasi tutta la sua infanzia in Castroreale ove,
come si è detto, il padre erasi trasferito con
la famiglia per il disimpegno della Carica di
Capitano.
In quella antica città demaniale molte salde
amicizie si erano stabilite tra i Marullo e le
principali famiglie del luogo, ed in particolare
con quella del magnifico Matteo Miano, ricco
possidente e cospicua personalità castrense.
Tale amicizia non fu troncata per lo
allontamento di Giovanni e dei suoi da
Castroreale, ma si mantenne più che mai viva. Il
Miano aveva una figlia unica a nome Lavinia
della stessa età del giovane Francesco Marullo,
e certamente i due ragazzi furono compagni di
studio e di svaghi. Forse perché i loro genitori
progettarono, fin dalla infanzia dei giovani, di
unirli in matrimonio, come allora era
consuetudine, o forse perché nacque tra
Francesco e Lavinia spontaneo l’amore, fatto si
è che, nel 1581 essi si sposarono, appena
ventenni. Il contratto dotale, di cui ho copia
legale nel mio archivio, porta la data del 1
dicembre 1581, e fu rogato dal notaio Filippo
Impallomeni in Castroreale. Dal detto atto si
rileva che lo sposo aveva perduta anche la
madre, e
che la madre della sposa, a nome Francesca
Calamoneri, anche essa, a quella data, era
passata a miglior vita. Dallo stesso contratto
dotale risulta che la dote di Lavinia era
costituita da terre in contrada Centineo e da
case e botteghe in Castroreale centro. In più
essa ebbe tutti i beni che, come figlia unica,le
spettavano dalla eredità materna, compresi
quelli pervenuti e da pervenirle dai nonni
materni Giacomo ed Antonella Calamoneri. Tutti
questi cespiti rustici ed urbani erano posti,
alcuni in Castroreale centro, altri nelle
colline degradanti verso Barcellona e Pozzo di
Gotto, e nella pianura in contrada Calderà.
I beni di Don Francesco
Marullo in Milazzo e in Castroreale
Gli sposi Marullo-Miano
andarono ad abitare in Messina nella casa avita
di Francesco, ma la amministrazione dei loro
beni, rappresentati dai cespiti esistenti in
Milazzo e Castroreale, li obbligava a risiedere
spesso, e per non brevi periodi, in questi due
centri. Tuttavia Milazzo era la meta principale
dei loro soggiorni fuori dalle mura. peloritane.
Nella gentile città del sole il loro figlio
Giovanni il 21 febbraio 1607 celebrò in quel
Duomo il suo matrimonlo con Flavia Parra, figlia
del nobile Nicolao.
La famiglia Parra, oggi estinta, appartenne in
Milazzo al primo ceto, come ne fa fede la Mastra
Giuratoria di quella città costituita nel 1649,
nella quale si riscontra registrato il nome di
Nicolao Parra che fu o il padre di Flavia
suddetta o un suo nipote od omonimo. Non sono
pervenuti fino a me i Capitoli nuziali
Marullo-Parra, ma da certe notizie attendibili,
ricavate da antichi documenti, risulta tra i
beni dotati di Flavia suddetta una casa in
città, casa che fu la prima che ebbero i Marullo
in quel centro, e che era ubicata nella Strada
di Santa Caterina, poi Ottaviana, oggi Umberto.
Tale casa si accrebbe successivamente con la
fabbrica di altri appartamenti ad essa annessi,
necessari per la abitazione dei figli e dei
discendenti della coppia Marullo-Parra. Questo
progressivo accrescimento edilizio formò da li a
poco un notevole comprensorio di costruzioni che
andava dallo stabile che è oggi degli eredi del
fu nobile Gino Leopoldo Marullo, mio carissimo
ed indimenticabile fratello, a quello degli
eredi del fu nobile Sebastiano Marullo,
limitrofo a quest’ultimo alla chiesetta di Santa
Caterina. Annessi a questi fabbricati, di cui
qualcuno passò poi per vendita ad altre
famiglie, erano, dalla parte di ponente verso il
mare, vari appezzamenti di terre coltivate ad
ortaggi ed a frutteti, e perciò chiamati
giardini. Ivi si trovavano alcune costruzioni a
pian terreno, ove erano collocate le scuderie e
le rimesse della ricca e nobile casata
messinese. Ampi magazzini sorgevano contigui,
adibiti a depositi di derrate agricole frutto
dei cespiti rusticani della famiglia, e vi si
accedeva da ampie porte che si aprivano sulla
strada pubblica ai margini dell’arenile del mar
di ponente.
In prosieguo di tempo ebbero i Marullo, in
Milazzo, altre dimore: quella di Via San
Giacomo, oggi degli eredi del fu Dottor Domenico
Cambria, casa che appartenne a quel ramo dei
Marullo d’Alarcon stabilitosi in Messina ai
primi dell’800, l’altra, pasta in Via Ottaviana,
oggi Umberto, tra i due vicoli che scendono
verso la Marina, e che fu fabbricata nella prima
metà del secolo scorso, con quella nobile
architettura ed ampiezza di locali che si
addicevano alle case magnatizie, per iniziativa
del mio bisavolo Don Antonino Marullo e
Muscianisi, allo scopo di dare una degna e
signorile dimora al suo figlio primogenito Don
Francesco Marullo e Bonaccorsi che si univa in
matrimonio con la nobile Donna Grazia Cumbo.
Situazione di
Milazzo alla meta del <<600>>
L’importanza militare di Milazzo era andata
gradatamente aumentando col trascorrere del
tempo fin dalla assunzione al regno di Sicilia
del re Alfonso d’Aragona.
Ai primi del ‘600 la troviamo classificata tra
le sei piazzeforti di Sicilia. Le altre cinque
erano Palermo, Messina, Catania, Siracusa e
Trapani. Le numerose truppe spagnole che
presidiavano il formidabile castello erano
comandate ad un ufficiale col grado di Capitan
d’Armi prima, e di Governatore in seguito. Il
quale aveva giurisdizione militare su tutta la
vasta Comarca a lui soggetta, che andava dalla
Terra del Gibiso a quella dell’Oliveri.
Rimanevano pertanto comprese in tale
giurisdizione le seguenti Terre: Tripi,
Montalbano, Novara, Furnari, Castroreale, Santa
Lucia del Mela, Condrò, San Piero, Monforte,
Rometta, Rocca, Venetico, Gualtieri e Saponara.
Su questi centri, di cui la maggior parte
feudali, e pochi demaniali, il Comando di
Milazzo godeva del mero e misto imperio e delle
prime e seconde cause.
Lo accrescimento della popolazione milazzese
indubbiamente si verificò ai primi del secolo
XVII, per l’importanza di Piazzaforte di prima
classe attribuita alla città. Fu quindi
necessario incrementare l’agnicoltura nella
Piana per poter fornire le vettovaglie
necessarie allo aumento dei consumatori.
Nello stesso tempo furono aperte nuove strade
campestri per il trasporto dei prodotti agricoli
in città.
Questo stato di cose portò un notevole vantaggio
alla economia cittadina in genere ed a quella
dei proprietari terrieri in particolare, i quali
ultimi, in verità, erano quelli che componevano
il primo ceto, che in alcune città demaniali fu
detto degli OTTIMATI, in altre, come Milazzo, fu
chiamato CETO DEI NOBILI.
Anche dal punto di vista dell’edilizia la città
si avvantaggiò molto durante la dominazione
spagnola per il fatto che sorsero nuovi
quartieri che formarono la città bassa,
quartieri che gradatamente si estesero oltre
l’istmo, lungo la Marina ed il Porto, circondati
da alte e ben fortificate muraglie. Cosi avvenne
che le principali famiglie lasciarono le loro
antiche abitazioni poste nella città alta, e
scesero alba parte bassa ove costruirono le
nuove dimore, le quali dimore furono sempre
modeste e mai, tranne qualche rara eccezione,
dimostrarono la ricchezza o la agiatezza del
loro possessori. Potrebbe ciò essere
interpretato come un indizia della semplicità di
vita degli antichi milazzesi, ed andrebbe
ascritto tale evangelico costume a loro merito,
ma d ‘altra parte occorre tener presente che
probabilmente sarà sta-ta un’altra la ragione
della modestia della edilizia milazzese: la
Piana, tanto decantata per la sua straordinaria
fertilità, era angusta, e ivi, e solo ivi, si
trovavano i beni terrieri degli Ottimati della
città. La quale classe era numerosa, e ne
conseguiva che la terra si trovava divisa in
fondi di modeste proporzioni che fruttavano
modeste rendite, in gran parte provenienti dalla
coltura dei bachi da seta, e dal prodotto di
vigne e di ulivi.
In seguito, però, tale disagiata condizione godé
di un sensibile cambiamento perché con
l’incremento delle colture, con il sensibile
aumento dei prezzi dei prodotti agricoli,
aumento causato dalla maggior richiesta per ii
notevolissimo accrescimento della guarnigione
spagnola, cal progressi degli scambi
commerciali, per tutte queste nuove circostanze
favorevoli, le condizioni economiche di Milazzo
diventarono, se non traspare, agiate.
Il titolo di Città concesso dalla Spagna, quella
di Piazzaforte di prima ordine, la manifesta
simpatia del Governo di Madrid, elevarono il
livello di vita del primo ceto milazzese, e ne
stimolarono le ambizioni.
Vi contribuì maggiormente la frequente dimora in
quella città di alti magistrati ed ufficiali
spagnoli chiamativi per disimpegno di cariche
governative civili e militari. La ostentata o
naturale fastosità di vita di tabi ospiti che
avevano continui contatti con la classe elevata
del luogo, le gale, le cavalcate, iricevimenti,
i balli, i banchetti, i più semplici atti della
vita quotidiana degli ospiti, furono presi ad
esempio e divennero norma inderogabile per i
nobili milazzesi che si studiarono imitarne ogni
manifestazione, ogni atteggiamento, superando
nello alto livello di vita da essi adottato
anche la opulentissima nobiltà peloritana. Molti
furono i matrimoni contratti tra gentildonne
spagnole, figlie o sorelle di alti ufficiali a
funzionari, con gentiluomini milazzesi: le
alleanze can le famiglie d’Alarcon, de Godoy,
Pons de Leon, Ortigas. Alcozer, Beltran ne sono
prova.
Non pochi spagnoli si accasarono in Milazzo e vi
rimasero stabilmente con la loro discendenza. In
tutte le famiglie di alto rango si parlava
spagnolo, e nelle feste ufficiali e familiari,
negli inviti si usava il cerimoniale catalano a
andaluso o castigliano.
Alla fine della dominazione spagnola, sgombrata
la Sicilia dalle truppe iberiche, col
sopraggiungere dei savoiardi di Vittoria Amedea
prima, e dei tedeschi di Carlo VI poi, Milazzo
non fece buon viso al nuovo stata di cose, ma
con l’avvento di Carlo III di Borbone al trono
delle Due Sicilie i milazzesi si rallegrarono.
La città chiese nuove preeminenze e le ottenne.
La Mastra Giuratoria ebbe l’appellativo di
Mastra Serrata per le difficoltà che rendevano
assai rare le nuove aggregazioni.
Le famiglie che vi erano gia iscritte mal
soffrivano che nuovi arrivati ottenessero
l’onore di aggregarvisi. Vi fu in proposta
qualche caso clamorosa di protesta collettiva.
Il Senato
ebbe i suoi mazzieri, i suoi alabardieri, i suoi
pavonazzi, la sua Corte al completo, e, quando
usciva in forma ufficiale, il suo fasto non
aveva nulla da invidiare a quello delle maggiori
e piùillustri città siciliane. Anche per la
edilizia si notò un miglioramento: si videro
sorgere alcune nobili costruzioni di pregevole
architettura di cui ama non rimane che qualche
tenue traccia per i disastri tellurici e gli
eventi bellici che funestarono quella nobile
città.
Don Francesco Marullo e
Parra
Dopo aver tratteggiato con brevi cenni nelle
pagine precedenti la situazione politica,
militare ed economica di Milazzo nella prima
metà del ‘600 per dare una idea dell’ambiente in
cui veniva a stabilirsi definitivamente la linea
della casata di cui ora mi occupo, vengo a far
parola di un personaggio di molto rilievo per
essa linea, e delle sue vicende in quel
burrascoso periodo di congiure, rivolte,
repressioni e guerre che funestarono la Sicilia.
Trattasi di Don Francesco Marullo figlio di
Giovanni e di Flavia Parra. Egli nacque il 12
febbraio 1609, e fu battezzato nella chiesa
parrocchiale di San Giacomo, come risulta dalla
fede di battesimo in mio possesso. I suoi
genitori, pur avendo il loro domicilio in
Messina nella casa avita dei Marullo,
trascorrevano, come si è detto, molta parte
dell’anno nella gentile ed ospitale cittadina
per sorvegliare e dirigere la loro grande
azienda agricola composta di fondi posti nei
territori di Milazzo, Castroreale e Santa Lucia
del Mela.
Francesco, rimasto orfano giovanissimo di
entrambi i genitori, si trovò in possesso di un
cospicuo patrimonio. Egli il giorno 30 settembre
1629, appena ventenne, sposò nella Parrocchia di
San Giacomo la giovane Fulvia Perdichizzi di
Antonino. I Capitoli matrimoniali di questi
sposi furono stipulati in Notar Nicolò Caruso il
6 agosto 1629.
La Famiglia Perdichizzi, benché sia nota in
Milazzo per aver dato personaggi che si
distinsero per cultura e per ingegno, tra cui
l’autore di una pregevole Storia della sua città
natale, e sebbene io la trovi annotata nella
Mastra Giuratoria del 1649 in persona di
Giuseppe Perdichizzi, e nell’altra del 1705 ove
è iscritto Don Giovan Battista dello stesso
cognome, tuttavia non posso fare a meno di
considerarla appartenente a quel numero di
casate di proprietari benestanti che vivevano
more nobilium, ma che non avevano nessuna delle
qualità nobiliari richieste
per
venir comprese nella categoria della nobiltà di
prima classe, detta Generosa. Tale mia
convinzione, per nulla modificata o attenuata, o
taciuta per il fatto che trattasi della casata
di una
mia antenata, è corroborata dal Real Dispaccio
in data 25 gennaio 1756 del re Carlo III di
Borbone, Decreto che qui riporto
Delle Mastre Nobili di
Sicilia
<<Volendo il Re che sieno per punto fisso posti
in chiaro
<<una volta li varii dubbi occorsi fino ad ora
sopra la qualità e
<<grado della nobiltà che sia necessaria in
quelli che pretendono
<<entrare a servire da Cadetti nelle truppe, ha
comandato fare
<<le seguenti dichiarazioni, le quali si hanno
da osservare ge-
<<neralmente in forma di legge e positiva
ordinanza in av-
<<venire.
<<1° Che prima di ogni cosa si sappia, per
governo di ognu-
<<no, per un incontrastabile presupposto, che la
nobiltà nei
<<Reali Dominii si ritrova stabilita in tre
differenti classi.
<<2° La prima consiste nella Nobiltà che
chiamano Genero-
<<sa, e si verifica allorquando una famiglia
nella continua serie
<<dei secoli è giunta a possedere qualche feudo
nobile, o che per
<<legittime pruove consti ritrovarsi la medesima
ammessa tra
<<le famiglie nobili di una Città Regia nella
quale sia una vera
<<separazione dalle civili, e molto più dalle
famiglie popolari. O
<<pure, sempre che abbia l’origine da qualche
ascendente, il
<<quale, per la gloriosa carriera delle armi,
della Toga, della
<<Chiesa e della Corte, avesse ottenuto qualche
distinto e su-
<<periore impiego, o dignità, e che li suoi
discendenti, per lo
<<corso di lunghissimo tempo, si fossero
mantenuti nobilmen-
<<te, facendo onorati parentadi, senza mai
discendere ad uffici
<<civili e popolari, ne ad arti meccaniche ed
ignobili.
<<3° La seconda classe di nobiltà è quella la
quale si dice
<<di Privilegio, e la godono tutti coloro i
quali, per li loro meriti
<<e servizi personali prestati alla Corona ed
allo Stato, giun-
<<gono ad essere promossi dalla munificenza dei
principi a gradi
<<maggiori ed onorifici della Milizia, della
Toga e della Corte,
<<dovendo in questa classe di nobili per
Privilegio esser consi-
<<derati e compresi tutti gli ufficiali militari
maggiori e mino-
<<ri, e quelli li quali, anche nelle altre
classi di Stato Maggiore
<<dell’esercito, come nella carriera
Ecclesiastica e delle lettere,
<<o altre classi di regali servigio o governo di
Stato, giungono ad
<<ottenere decorosi impieghi, il quali imprimono
carattere, o che
<<siano di equivalente sfera, colla distinzione
ed ordine che ri-
<<chiede per la sua qualità, il differente
maggiore o minore ran-
<<go di ciascuno.
<<4° E la terza classe di quelli che si reputano
nobili è quella
<<chiamata Legale ossia Civile, nel quale rango
si reputano tut-
<<ti quelli che facciano costare avere, cosi
quelli, come il loro
<<padre ed avo, vissuto sempre civilmente, con
decoro e como-
<<dità, e che, senza esercitare cariche ne
impieghi bassi e popo-
<<lari, sono stati stimati, gli uni e gli altri,
nella idea del pub-
<<blico, per uomini onorati e dabbene>>.
Volendo
pertanto alla luce di questo Real Dispaccio
precisare a quale delle tre classi di nobiltà
appartenne la famiglia Perdichizzi, non può
sussistere alcun dubbio che essa casata sia da
assegnarsi alla terza categoria, ciò a quella
della Nobiltà Legale. Ed alla stessa terza
classe deve considerarsi catalogata la maggior
parte delle famiglie i cui membri si leggono
annotati nelle Mastre milazzesi del 1649, del
1705 e nelle altre posteriori, fatta pero
eccezione per le seguenti che vanno ascritte
alla prima classe ossia alla Nobiltà Generosa,
per le ragioni che si leggono accanto al nome di
ognuna di esse:
1) d’Amico: Per essere stata feudataria da
antichissimo tempo, per essere vane volte
passata all’Ordine di Malta, e per essere stata
iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina.
2) Baeli: Per essere stata feudataria di San
Nicolò, e per essere stata iscritta nelle
antiche Mastre Nobili di Messina.
3) Bonaccorsi: Per aver ottenuto dal Senato di
Messina decreto di riconoscimento di Nobilità
Generosa, e per essere passata all’Ordine di
Malta.
4) Colonna: Per essere famiglia storica ed
illustre.
5) Cumbo: Per avere avuto tra i suoi rampolli
Giudici di Gran Corte, e per essere passata
all’Ordine di Malta.
6) Lucifero: Per essere stata feudataria in
Calabria, e per esser passata all’Ordine di
Malta.
7) Di Marco: Per essere stata iscritta nelle
antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere
passata all’Ordine di Malta.
8) Marullo: Per essere stata iscritta nelle
Mastre Nobili antiche di Messina, per essere
passata all’Ordine di Malta, e per essere stata
feudataria in Sicilia e in Calabria.
9) Muscianisi :Per essere stata iscritta nelle
antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere
stata feudataria di Centineo.
10) Orioles: Per essere stata feudataria di San
Piero sopra Patti, e per essere passata
all’Ordine di Malta.
11) Proto: Per essere stata iscritta nelle
antiche Mastre Nobili di Messina.
12) Romano: Per essere stata iscritta nelle
antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere
un ramo della famiglia Colonna storica ed
illustre, di cui al n. 4.
A queste
12 famiglie bisogna aggiungerne altre tre:
d’Alarcon, de Godoy e Ortigas, ma, senza entrare
nel merito della loro provata o provabile
nobiltà Generosa, faccio notare che trattasi
di casate spagnole di alti Ufficiali e
Comandanti la Piazza, le quali erano ammesse di
ufficio a concorrere o a dar voce negli scrutini
per le elezioni delle cariche municipali.
Trovandomi ora a trattare brevemente l’argomento
delle Mastre Nobili di Sicilia in generale, e di
quella di Milazzo in particolare, mi sembra
opportuno far rilevare che la Consulta Araldica
del Regno di Italia emise provvedimenti
nobiliari tra loro contrastanti sulla validità o
meno, come titoli primordiali, delle iscrizioni
di antenati alle Mastre Nobili di alcune Città
Regie fra cui Milazzo. Questa disparità di
trattamento non fu un segno della continuità di
quella mirabile oculatezza ed imparzialità che
tanto fecero apprezzare quell’altissimo Ufficio
ai suoi tempi d’oro che culminarono sotto la
guida illuminata dei Commissari del Re, Barone
Manno e Conte Barattieri di San Pietro. Rimane
ora solo da auspicare che le Commissioni
Araldiche ancora sopravvissute presso Ordini
Cavallereschi Sovrani, e presso la Santa Sede, e
quelle che potrebbero eventualmente in un giorno
vicino o lontano essere ripristinate in Italia,
tengano presente non solo il Real Dispaccio di
Carlo III di Borbone del 1756, sopra riportato,
ma anche il Rapporto Collettivo fatto dal
Consigliere della Real Commissione dei Titoli di
Nobiltà in Napoli, Conte Raimondo San Martino,
in data 27 marzo 1857, e la Requisitoria del
Procuratore Generale del Re presso la Real
Commissione del Titoli di Nobilità e presso la
Corte Suprema di Giustizia in Napoli, del giorno
8 aprile 1858.
Tutti questi documenti sono riportati nella
pregevole pubblicazione dal titolo “LE MASTRE
NOBILI” di Francesco Spadaro di Passanitello, e
ivi si leggono rispettivamente alle pagine
22 e seg., 439 e seg., 452 e seguenti.
Perché Don Francesco Marullo e Parra divenne
cittadino milazzese
Dopo
undici anni dal suo matrimonio con la
Perdichizzi,Franccsco ebbe un figlio che lo
battezzato nella Chiesa di SanGiacomo il 2
ottobre 1640, e gli fu imposto il nome del
nonno:
Giovanni. Purtroppo la gioia di questo felice
evento fu turbata gravemente, dopo brevissimo
tempo, dalla immatura morte della giovane Fulvia
che si spense nel 1644 lasciando il marito nel-
la desolazione, ed il tenero pargoletto appena
quattrenne.
Tre anni durò lo stato vedovile di Francesco,
giacché il 2 dicembre 1647 egli passò a seconde
nozze nel Duomo di Milazzo con Donna Giuseppa de
Alarcon di Andrea. Questa famiglia Alarcon, che
apparteneva alla nobiltà castigliana, fu re-metà
del ‘500 prese parte di primo piano ad
avvenimenti di
portata storica. Egli fu un valoroso ed esperto
Capitano di Cavalli, e sali ad alti gradi della
milizia, ma ciò che lo rese celebre fu la grande
fedeltà dimostrata in qualsiasi circostanza al
suo Re: l’Imperatore Carlo V. Tale fedelissimo
attaccamento gli procurò, con la sovrana
benevolenza, una serie di incarichi di grande
fiducia. Alla battaglia di Pavia nel 1525, a cui
prese parte come Maestro di Campo della
cavalleria, battaglia finita con la vittoria
delle armi imperiali e la cattura sul campo del
re Francesco I, egli ebbe dal Marchese di
Pescara la delicatissima missione di custodire
il real prigioniero francese. Due anni dopo, nel
maggio del 1527, avvenuto il sacco di Roma,
trovandosi
il Papa Clemente VII de’ Medici prigioniero in
Castel Santangelo, ove erasi rifugiato per
sfuggire alle nefandezze degli scatenati
luterani lanzichenecchi, ebbe come vigile
custode il d’Alarcon. Dopo la pace di Cambrai
Don Ferdinando venne in Sicilia al seguito di
Carlo V, e vi rimase qualche tempo.
Passò poi a Napoli ove ebbe il comando del
Castelnuovo.
La sanguinosa rivolta del popolo napoletano
contro la istituzione del Tribunale del
Sant’Ufficio trovò il d’Alarcon al suo posto di
comando in quell’importantissima fortezza.
In ricompensa di tanti segnalati servigi, gli fu
concesso il marchesato di Valle Siciliana nel
reame di Napoli, ed altri feudi nobili. Ebbe una
sola figlia che sposò un gentiluomo spagnolo
della grande famiglia Mendozza a cui passò il
marchesato e gli altri beni. Da Casa Mendozza
poi, per successione femminile sia il marchesato
di Valle Siciliana come gli altri feudi nobili,
pervennero alla illustre Casa Caracciolo Rossi,
patrizia napoletana, e precisamente alla linea
dei principi di Torella che là detenne fino alla
abolizione della feudalità.
In compenso di non essere stato allietato da
prole mascolina Don Ferrante d’Alarcon ebbe
molti fratelli, nipoti e pronipoti, i quali
tutti vissero per molte generazioni nella scia
luminosa lasciata da tanto illustre congiunto, e
se ne avvantaggiarono per il conseguimento di
cariche ed impieghi in prevalenza di natura
militare. Uno di tali pronipoti, che portava
anche il nome di Ferdinando, fu, nella prima
metà del ‘600, Comandante del Castello di
Milazzo, e vi rimase per lunghi anni. Il suo
nome si legge annotato tra i cinquanta soggetti
scelti dal Vice-rè Don Giovanni d’Austria nel
1649 a formare la prima Mastra Giuratoria
milazzese.
Fu suo figlio Andrea, ed anche lui dimorò col
padre nel Castello della patriottica e bella
cittadina. Giuseppina e Francesca, figlie di
Andrea sposarono, La prima, come sopra si è
detto, nel 1647 Francesco Marullo e Parra, la
seconda il nobile Paolo Proto.
La conseguenza logica ed immediata del
matrimonio contratto da Francesco Marullo con la
d’Alarcon fu che, trovandosi ora egli legato da
strettissimi vincoli di parentela con la
famiglia più rappresentativa dell’ambiente
spagnolo in Milazzo, divenne fedelissimo
sostenitore della causa del Re Cattolico in quel
periodo cosi denso di avvenimenti politici e
militari, periodo nel quale buona parte
dell’isola, e in particolare Messina, tentavano
con ogni mezzo di scuotere il giogo straniero.
La Sicilia era esausta per le gravissime tasse
che il governo spagnolo le imponeva con ogni
pretesto, e che sempre aumentavano. La esosità
dei baizelli era divenuta maggiormente
insoffribile per la burbanza dei funzionari
spagnoli, civili e militari, quasi tutti cadetti
di buona famiglia e quindi squattrinati, o
persone che godevano di alte protezioni a
Madrid. Giungevanocostoro nella nostra isola per
rimpannucciarsi ma non tralasciavano di
manifestare la loro innata alterigia:
tuttidicevano
di essere gentiluomini, rampolli di grandi
famiglie, molti vantavano antenati Grandi di
Spagna.
Il popolo siciliano era stanco di questa
infelice situazione.
Scoppiavano quà e 1à sollevazioni che venivano
prontamente soffocate nel sangue. Le congiure
contro il malgoverno non si contavano più.
Accrebbe questa tristissima situazione la
scarsezza del raccolto del 1646: il grano
prodotto in quell’annata nelle fertilissime
terre sicule non bastò al fabbisogno della
popolazione dell’Isola. La minaccia della
carestia incombeva specialmente su Messina per
la scarsa fecondità del suo territorio in
massima parte montuoso. Avvenivano nella città
del Faro frequenti tumulti che 1’accorrere
precipitoso del Viceré, Marchese de Los Velez,
riusciva a domare. A Palermo, per essere stata
ridotta la misura del pane, il popolo tumultuò
gridando: “Viva il Re, fuori gabelle e mal
governo “! Il contagia della rivoluzione si
dilatò per tutto il regno iin Catania, Girgenti,
Monreale, Termini. Castelvetrano, Siracusa,
Nicosia, Modica, Lentini, Mazzara, ed altre
Città e Terre, si verificarono moti
rivoluzionari.
In Palermo Giuseppe d’Alessi sollevò il popolo,
che, prese le armi, divenne per qualche tempo
l’arbitro dei destini di quella città,
obbligando il Viceré a rifugiarsi con la
famiglia, prima sulle galere, e poi nel
Castello.
Questa ultima sommossa, avendo assunto un
carattere di particolare gravita, indusse il
Viceré di Napoli e quello della Sardegna ad
inviare in Sicilia notevoli rinforzi di truppe
spagnole, che, appena giunte, diedero agio al
Los Velez di scatenare una feroce repressione
con ogni sorta di pene e supplizi.
Si vide allora l’orrendo spettacolo di tante
teste recise ed esposte al pubblico, di tanti
corpi umani straziati e squartati penzolanti da
forche, di case devastate ed incendiate. Regno
dappertutto per oltre un anno il terrore!
In tali condizioni era la Sicilia quando
nell’agosto del 1647 moriva in Palermo il Los
Velez. Gli successero nel viceregnato, prima il
marchese di Monte Allegro, e quindi il Cardinal
Tri
vulzio, entrambi come Presidenti del Regno,
durati in carica pochi mesi ciascuno.
Intanto erano pervenute a Madrid precise notizie
di questa situazione in Sicilia, ed il Re
Filippo IV decise allora di affidare 1’arduo
compito di pacificare l’isola e scongiurare
nuove sedizioni al suo figlio naturale Don
Giovanni d’Austria, nominandolo Viceré con Real
Dispaccio in data 1 settembre 1648.
Giunse questo Principe in Messina nel gennaio
1649 con la sua squadra di galere, e rimase
nella città del Faro quasi per tutto il
brevissimo tempo del suo governo, tranne qualche
fugace soggiorno da lui fatto in Palermo per
blandire quella nobiltà e consolare e rallegrare
il popolo con feste e parate.
Il governo di Don Giovanni fu rivolto anzitutto
a prevenire i tumulti e le congiure emanando
disposizioni provvide per alleviare la miseria,
istituendo nuovi ordinamenti municipali per
rendere accessibili alla borghesia ed al ceto
popolare le cariche cittadine. Non perseguitò le
famiglie dei capi delle passate sollevazioni, e,
pur usando i rigori necessari per stroncare
nuovi movimenti e nuove congiure, non infierì
sui responsabili, come ferocemente avevano fatto
i suoi immediati predecessori. Può quindi dirsi
essere stato il suo un governo saggio e
relativamente tranquillo, allietato da feste
popolari.
Purtroppo il viceregnato di questo buon Principe
fu di breve durata perché, essendosi ribellata
la Catalogna alla Corona Asburgica, il re
Filippo IV, conoscendo il valore e la capacità
del figlio nelle azioni militari, lo chiamo a
Madrid per dargli l’incarico di domare la fiera
regione catalana. Nel maggio del 1651 Don
Giovanni se ne parti definitivamente dal regno
con la sua squadra di galere, e veleggiò verso i
suoi nuovi destini.
La permanenza di Don Giovanni d’Austria in
Messina non era stata causata, come ha affermato
qualche cronista palermitano del tempo, dalla
sorveglianza che egli esercitava sui lavori di
risarcimento della sua flotta nei cantieri
peloritani, ma a risiedere in prevalenza nella
Città del Faro lo aveva determinato il
convincimento che era proprio questa città che
la Corona Absburgica doveva attentamente
sorvegliare, curare, blandire per non mettere in
gioco il possesso dell’isola tutta. Tale
convinzione il Serenissimo Viceré aveva
saldamente radicata nella sua mente per le
seguenti considerazioni:
1) per la posizione strategica della Regina del
Peloro che col suo amplissimo porto era
considerata in quei tempi la chiave del
Mediterranco; 2) per Ia floridezza economica del
popolo zancleo tutto dedito ai commerci ed al
lavoro. senza distinzione di classi sociali; 3)
per la sorprendente energia con cui i messinesi
difendevano i loro antichissimi Privilegi che
facevano della città quasi una Repubblica
indipendente che si reggeva con proprie leggi e
propri magistrati.
Don Giovanni, pertanto, penso a rafforzare le
regie fortezze e munirle di nuovi mezzi, e nello
stesso tempo intraprese una politica di pacifica
penetrazione nell’ambiente locale dando ordini
perentori in tal senso ai subalterni civili e
militari.
In esecuzione di tali comandamenti la
piazzaforte di Milazzo, che aveva il principale
obiettivo di sorvegliare e minacciare alle
spalle Messina nei prevedibili suoi tentativi di
sollevazione, fu
resa maggiormente efficiente con nuovi
apprestamenti bellici e col sensibile aumento
della guarnigione spagnola.
Insieme a questi provvedimenti, che riguardavano
la parte militare del programma Viceregio,
furono applicati quelli diretti alla pacifica
penetrazione nell’ambiente locale, ed infatti il
Privilegio che istituì la prima Mastra
Giuratoria milazzese porta la data del 6
novembre 1649, e la firma di Giovanni d’Austria.
Tale Privilegio non solo pose i termini del come
e del quando dovevano farsi gli scrutini per la
elezione dei Giurati, ma indicò anche i nomi dei
soggetti abilitati a concorrere alla
carica Giuratoria. A capolista di tale
annotamento volle Don Giovanni che fosse posto
il nome di Don Francesco Marullo.
Questa prelazione accordata al Marullo ha un
particolare significato di opportunità politica,
e va spiegata con le seguenti considerazioni Don
Francesco era un ricco possidente, e perciò la
sua indipendenza economica lo metteva al riparo
di qualsiasi bisogno e quindi al disopra di ogni
allettamento finanziario da parte dei nemici
della Spagna. Inoltre il Marullo, tanto
strettamente legato agli Alarcon per il recente
parentado, dava assoluto affidamento di fedeltà
alla causa asburgica.
Si teneva dalle autorità viceregie anche
presente che, essendo Don Francesco consaguineo
di tutti i Marullo di Messina, che avevano in
quella città posizioni sociali, economiche e
politiche di primo piano, avrebbe potuto
adoperarsi a render favorevole alla Spagna
l’esteso parentado peloritano in una eventuale
rivoluzione.
Come era da prevedersi, venuto il giorno indetto
per gli scrutini, tra i dieci nomi degli
abilitati usciti dal Bussolo, quello del Marullo
raccolse i maggiori suffragi, ed il Protonotaro
del Regno lo incluse nella quaterna dei Giurati
in Sedia. In tale onorifica carica fu confermato
per molti anni, e, per il favore e la
benevolenza della Spagna di cui godeva, resse
quasi fino alla vigilia della sua morte le
redini della cosa pubblica, e fu il personaggio
più autorevole di Milazzo, pullulante in quegli
anni di truppe spagnole, di funzionari, di alte
personalità che da ogni parte ivi si radunavano
per preparare e lanciare la offensiva contro
Messina venuta in mano dei rivoluzionari.
Se tali preminenze ed onori dovettero
evidentemente riuscire assai graditi al mio
antenato, il fatto di esser egli obbligato a
lasciare la legale cittadinanza messinese, che
fino ad allora aveva voluto conservare, dove
certamente contristarlo e non poco. Ma d’altra
parte il Privilegio di Don Giovanni d’Au-stria
del 1649 era chiaro e non lasciava alcun dubbio
sull’obbligo che i Giurati e gli Ufficiali
Superiori di Milazzo avevano di abitare in
quella città e precisamente nella parte di essa
che
veniva chiamata “murata”. In forza del detto
Privilegio egli non poteva rimanere cittadino
messinese e contemporaneamente esercitare in
Milazzo le cariche di Giurato e di Capitano di
Giustizia.
Per qualche anno ancora tale situazione
incompatibile si protrasse, e difatti nel 1659
gli venne rilasciata l’ultima Declaratoria di
Nobile Messinese dal Senato Peloritano. Poi,
cancellato dai ruoli anagrafici della città dei
suoi padri, prese legalmente la cittadinanza
milazzese. I suoi beni ereditati dagli avi, che
possedeva in Messina, gli furono confiscati per
non aver ottemperato alla intimazione di abitare
entro le mura peloritane. Egli morì in Milazzo
il 2 giugno 1675 di 66 anni, e fu sepolto nella
Chiesa di San Francesco di Paola.
Dai suoi due matrimoni nacquero: dal primo
Giovanni, come ho avanti accennato, e dal
secondo Antonino e Ferdi-
nando. Il patrimonio della casata subì quindi
una prima divisione in tre parti. Giovanni ebbe
in prevalenza i cespiti posti nei territori di
Castroreale e Santa Lucia del Mela, e solo
qualcuno nella Piana milazzese, oltre la casa di
abitazione in Milazzo. Ad Antonino e a
Ferdinando tocco tutto il resto dei beni che
formavano l’asse ereditario paterno. Portò
questa prima divisione una notevole diminuzione
della potenzialità economica della famiglia;
tuttavia i tre fratelli, se non ricchi, come lo
era stato il padre, rimasero agiati.
Giovanni sposo il 10 agosto 1664, nella Chiesa
di Santa Maria Maggiore in Milazzo, Diana Anna
Micali di Giovanbattista.
I capitoli di questo matrimonio furono
registrati agli atti del Notar Vincenzo Calcagno
di Milazzo in data 8 gennaio 1664.
Nulla so sulla famiglia di questa sposa, ma
ritengo che essa abbia appartenuto a casata di
commercianti messinesi.
Antonino Marullo e d’Alarcon sposò il 2 gennaio
1676 Chiara Beltran di Andrea.
Era costei nipote di Don Diego Beltran, alto
ufficiale spagnolo, comandante in quel tempo di
Santa Lucia del Mela col grado di Sergente
Maggiore, che equivaleva a quello odierno
di Tenente Colonnello. Del terzo fratello,
Ferdinando, non ho alcuna notizia per cui
ritengo che non abbia avuta discendenza, e che
alla sua morte la quota di beni pervenutagli
dalla eredità paterna sia andata al fratello
Antonino o ai suoi eredi.
I tre fratelli suddetti vissero sempre in buona
armonia tra loro, e seguirono in Milazzo la
politica del padre che fu quella di fedele
attaccamento alla causa spagnola; lo prova il
fatto che durante la rivoluzione del 1674-78,
mentre tutti gli altri membri della famiglia
erano, in Messina, alla testa dei movimenti
insurrezionali tendenti alla cacciata degli
spagnoli dall’Isola, essi fratelli non esitarono
a prendere le armi a sostegno della Corona
Absburgica. Infatti il 22 agosto 1677 un corpo
di cavalleria francese e messinese si venne ad
accampare nella Piana di Milazzo nella contrada
detta del Parco, ove era una proprietà dei
fratelli de Gregorio nobili di Messina, e
partigiani della fazione dei Malvizzi.
Accostatesi poi queste truppe alla porta detta
di Messina, cercarono di espugnarla. Ne era a
guardia un piccolo presidio di milizie milazzesi
comandate da Giovanni Marullo, e ne facevano
parte alcuni nobili del luogo tra i quali
Scipione d’Alarcon, Giovanni, Paolo ed Onofrio
Ventimiglia e Guerrera, e i fratelli Antonino e
Ferdinando Marullo ed Alarcon. Malgrado che il
loro numero fosse sparuto, i milazzesi seppero
resistere valorosamente agli assalti delle
truppe franco-messinesi, le quali, benché
fossero appoggiate da ventuno galere francesi
pronte a sbarcare truppe, vista uscire dalla
stessa porta di Messina la cavalleria spagnola
numerosa e bene armata, si ritirarono verso il
Parco e quindi ritornarono a Messina mentre le
navi francesi riprendevano il largo rinunziando
all’impresa.
Prima di chiudere la narrazione degli
avvenimenti che riguardano la politica del
governo spagnolo in Milazzo, credo opportuno
riportare il testo integrale del Privilegio del
1649 con cui venne istituita la prima Mastra
Giuratoria milazzese:
La Mastra Giuratoria di
Milazzo del 1649
<<Philippus. D. loannes ab Austria Vicerex,
universis et sin-
<<gulis ufficialibus Civitatis Milae presentibus
et futuris, cui vel
<<quibus ipsorum presentes et presentate fuerint,
dilectis salu-
<<tern. Desiderando noi il bene pubblico e
quieto vivere di con-
<<testa Città, per l’accerto futuro di buona
elezione degli uffi-
<<ciali di essa, ne ha parso dar modo e forma
con la quale, per
<<il tempo da venire si avessero da far la
nomina a scrutinio del-
<<li Giurati di questa Città, per il che vi
ordiniamo che, nella
<<concorrenza di Giurati. abbiano da concorrere
cinquanta sog-
<<getti virtuosi, degni, ed atti per detto
officio di Giurati, quali
<<si averanno da appizzare nel Casserizio, e nel
giorno della Fe-
<<stività della Santissima Annunziata si averà
da fare la nomi-
<<na a scrutinio di dieci persone, delle quali,
per noi e nostri
<<successori, se ne avranno da eligere quattro,
e quelli ave-
<<ranno da esercitare l’officio di Giurati per
spazio d’anni uno,
<<piglianti la possesione nel primo di maggio di
ogni anno, e
<<questo per farsi in tempo più apportuno le
provvisioni di vet-
<<tovaglie della Città.
<<E per più soddisfazione universale, n’è parso
ancora ordi-
<<nare che si eligessero altre centocinquanta
Persone, cittadine
<<d’essa Città, Capi di casa, quali, unitamente
con il cinquanta
<<concorrenti, che tutti ascendono al numero di
duecento, fosse-
<<ro stabiliti a fare detta Nomina o scrutinio,
dei quali duecento
<<persone, si averanno da fare duecento polize,
e quelle poste in
<<un berrettone, se n’averanno da estraere a
sorte trentasei ag-
<<giunti, per un Figliolo deputando dai
Delegati, quali aggiunti
<<daranno la voce all’indetti cinquanta
concorrenti, o al si o al
<<no, conforme si costuma in altre parti, e
quelli dieci delli cin-
<<quanta concorrenti che averanno più voci degli
altri, quelli
<<resteranno abilitati per lo scrutinio che si
avera da fare, e nel
<<caso che saranno di pan voce, si estraheranno
a sorte, e detti
<<dieci poi del Spettabile Protonotaro del
Regno, per dopo farsi
<<L’eleziane delli detti Giurati, li quali nelle
occorrenze averan-
<<no da vacare il triennio, canforme alli
Capitoli del Regno.
<<E per tal’effetto, ogni anno anticipatamente
si eligerà il
<<nostro Delegato, per via del detto Protonotaro
del Regno, il
<<quale Delegato, insieme con i Giurati,
assisterà a detta crea-
<<zione, valendosi dell’Archiprete, con
l’intervento del Priore di
<<San Domenico in un anno, e nell’altro anno del
Guardiano di
<<San Papina, intervenendo anco un altro
religioso Sacerdote,
<<ben visto al Delegato, purché sia Forestiero,
quali assisteranno
<<al Caserizzo. Ordiniamo similmente che tutte
quelle perso-
<<ne che sono state e sono al presente di
prosecuzioni gravi, che
<<per Leggi e Prammatiche vengono proibite a
poter esercitare
<<offici, non debbano concorrere. E più, tutte
quelle persone De-
<<bitrici della Città di debiti correnti, tanto
per causa di gabelle,
<<candanne fatte dalli Mastri Giurati,o di altri
Ministri, quanto
<<di debito per qualsiasi causa, etiam per
sommissa persona,
<<tanto principali ed in solicium obbligati,
quanta per leggi, non
<<passono detti tali concorrere né appizzarsi al
Caxarizzo, con
<<tuttoché avessero dilazioni di detti Debiti, e
con l’istesso s’in-
<<tende per li Gabellati in atto, e quelli che
hanno obbligazioni
<<di frumento a altra sorte di vittovaglie con
la Città, o anche
<<quelli che non hanno l’età di ventidue anni
campiti, in canto
<<alcuno non debbano concorrere et essere
appizzati al Caxa-
<<rizzo.
<<E parimenti si concede facoltà di fare detta
nomina di
<<dieci soggetti come di sopra, e che da Noi e
nostri Successori
<<non Si farà altra elezione, se non da quattro
persane delli detti
<<dieci nominati e scrutinati, alli quali eletti
sempre li Giurati
<<presenti avranno da dare la possessione, e non
ad altra offi-
<<ciale, e qualsiasi eletta fora nomina mai
averà da avere pos-
<<sesso di detta officio, et in caso di morte a
remotione delli
<<Giurati, si abbia da eligere dal Nostro Viceré
Successore uno
<<delli dieci nominati. E similmente, nel caso
di morte o di man-
<<camento delli cinquanta concurrenti, ordiniamo
che il Giurati presenti,
<<insieme con gli altri
del numero delli detti cin-
<<quanta concorrenti, abbiano da proporre a Noi,
per via di det-
<<to ufficio di Protonotaro, tre soggetti
benemeriti e più degni
<<dei quali da noi se ne eliggerà uno, e quello
subentrare nel
<<luogo del mancante, e morendo o mancando
persona del nu-
<<mero dei centocinquanta di quelli che donano
voci, ordiniamo
<<che li Giurati presenti, con li trentasei
aggiunti, quali nella
<<prossima elezione han da dare voto, quelli
unitamente propo-
<<neranno tre soggetti benemeriti e più degni,
per farsi da Noi
<<l’elezione, come sopra, facendosi le suddette
nominazioni del-
<<le suddette persone per bussolo secreto,
restando per nominare
<<li tre soggetti.
<<E per più facilitare la esecuzione del
suddetto ordine No-
<<stro, mi è parso dichiarare li cinquanta
concurrenti ad offici,
<<e sono gli infrascritti, cioé:
Don Francesco Marullo
Vincenzo Rizzo
Francesco d’Anselmo
Francesco Catanzaro
Giuseppe d’Amico
Filippo d’Amico
D. Nicola Romano
Diego Baeli
D. Antonio Oliveri
Placido Tarantello
D. Giuseppe Romano
Domenico Cartia
Francesco Lombardo
Stefano Navarro
Diego Galindo
Marco Antonio Giunta
Giuseppe Perdichizzi
Dott. Paolo Siragusa
Diego Di Marco
Giuseppe Leonti
D. Ferdinanclo De Alarcon
Francesco Majolino
Lorenzo Sarati
Dott. Nicola Bettoni
Dott. Angelo Costanzo
D. Andrea Romano
Giuseppe Baeli
Onofrio Villano
Francesco Lazzari
Diego Lucifero
Francesco Lucifero
D. Giovanni De Godoi
D. Diego Orioles
D. Antonio Busacca
D. Antonino d’Amico
D. Ottavio Trovato
D. Giuseppe Abati
Ventura Tappia
Geronimo Lombardo
Giacinto Marziano
Antonino Zirilli
Giovan Giacomo d’Amico
Onofrio Silvano
Antonino Tripoli
Giovan Battista Catanzaro
Paolo Proto
<<Ordiniamo che anche li Giurati eletti abbiano
da habi-
<<tare nella Città Murata conforme all’ordine da
Noi e nostri
<<predecessori fatti, ed in quanto alli
concurrenti alli uffici, ed
<<altri che donano voci, potranno habitare in
qualsiasi luogo,
<<tanto dentro quanto fuori di detta Città
Murata, e anco che
<<l’elezione del Capitano, Giudice, ed altri
ufficiali di cotesta
<<Città, resti per farsi da Noi e nostri
successori, per l’ufficio di
<<detto Spettabile Proconservatore del
regno,nella forma soli-
<<ta, con farsi il solito scrutinio, acciò nel
primo di settembre
<<di ogni anno prendano la loro solita
possessione.
<<Pertanto, per le presenti, vi diciamo,
ordiniamo e coman-
<<diamo che ad unguem eseguiate e facciate,
perché si deve ese-
<<guire ed osservare il preinserto nostro
Privilegio, de verbo ad
<<verbum justa sui seriam continenetiam. et
tenorem, e vogliamo
<<che ognuno in perpetuum abbia da eseguire ed
osservare, sen-
<<za mai farsi il contrario, il tutto per
servigio di Sua Maestà,
<<e per quanto cara vi è la grazia Sua, e sotto
pena di onze 200
<<per ognuno dei trasgressori, da applicarsi al
Regio Fisco.
<<Datum Messane die sesto Novembris 1649. D.
IUAN.
<<Serenissimus Dominus D. loannes ab Austria,
Vicerex et
<<Generalis Capitaneus mandavit mihi Christi
Plato. Papè Pro-
<<tonotarius, Petrus Battaglia Coadjutor,
Conservetur in actis,
<<Registretur per Archivarium in Libro Thesauri
Privilegiorum.
<<AMICO Senatore, MARULLO Senatore, CUMBO
Senatore,
<<PROTO Senatore.
<<Die vigosima quinta mensis martii, 5 ind.
1727. D. Vin-
<<centius Scarpaci Pro Magister Notarius>>
La
discendenza primogenita di Don Francesco Marullo
e Parra.
Tornando
ad esporre, dopo questa breve parentesi, le
vicende della discendenza di Francesco Marullo e
Parra, discendenza originata dal suo doppio
matrimonio, come nelle pagine
precedenti ho fatto parola, dagli atti che ho in
mio possesso risulta che dal matrimonio di
Giovanni Marullo con Diana Micali nacque
Francesco il quale fu battezzato nel Duomo di
Milazzo il
18 maggio 1667, come da fede rilasciatami si
rileva. Ho anche in precedenza accennato che a
Giovanni toccarono come quota ereditaria del
patrimonio paterno tutti i beni posti nel
territodi Castroreale, compresa una bella casa
in quel centro, casa che proveniva dalla eredità
di Giacomo ed Antonella Calamoneri.
Giovanni quindi, per il fatto di dover accudire
alla amministrazione dei cespiti nella zona
castrense, passava buona parte dell’anno coi
suoi familiari in quella antica e nobile Città,
pur conservando il domicilio legale in Milazzo,
ove era ascritto alla Mastra Giuratoria.
In Castroreale il figlio Francesco nel settembre
del 1688 sposò Donna Giuseppa Colonna Romano
appartenente ad uno dei rami della storica Casa
papale, ramo venuto in Sicilia fin dalla metà
del ‘200, e quivi resosi chiarissimo come appare
dalle relazioni dei più noti storici e
genealogisti.
Dal matrimonio Marullo-Colonna nacque in
Castroreale nel 1693 un figlio a cui fu imposto
il nome di Giovanni. Non poté, purtroppo la
madre avere la gioia di veder crescere questo
suo figlioletto perché, subito dopo averlo messo
al mondo, passò a miglior vita.
Nel 1706 Don Francesco celebrò altro matrimonio
con Maria de Godoy appartenente a nobile
famiglia spagnola, e ciò nel Duomo di Milazzo il
giorno 10 aprile, come si rileva dalla fede
parrocchiale. Da queste nozze nacque Fortunato
Marullo e de Godoy, e di questi mi occuperò tra
breve.
Giovanni Marullo e Colonna Romano sposò in
Castroreale nel 1737 la cugina Giovanna Colonna.
I capitoli di tali nozze furono stipulati dal
notar Giuseppe Maria Zangla di Castroreale in
data 29 giugno 1737.
Queste due alleanze dei Marullo coi Colonna,
divenuti Baroni di Centineo per successione di
Casa Muscianisi, aumentarono sensibilmente la
posizione economica dalla linea di cui ci stiamo
occupando. Michele, figlio dei coniugi, Giovanni
e Giovanna Marullo e Colonna, fu un ricco
proprietario terriero.
Egli abitò in Castroreale e in Barcellona, e
nelle vicinanze di quest’ultimo centro,
precisamente nella borgata detta San’Antonio
possedette estese tenute agricole e una
chiesetta di jus patronatus sul cui prospetto si
vedevano scolpite le armi dei Marullo. Michele
suddetto sposò in Castroreale Giuseppa Patti
Lazzari nel 1801. Malauguratamente, dopo qualche
generazione, la prosperità economica di questa
casata andò a declinare.
Vivono oggi in Barcellona i rappresentanti di
questa linea.
Reputo ora utile fare un breve cenno sui Colonna
Romano di Centineo.
Questo ramo di casa Colonna discende da
Bartolomeo che fu Senatore Nobile di Messina nel
1555-56. Il nipote, Bartolomeo II, sposò nel
1627 Antonia Longo e Del Pozzo da Castroreale (Capit.
Matr. Not. Sisa di Castroreale 27 aprile 1627).
Fu figlio di questi coniugi Paolo, che si
stabili nella città della madre per accudire ai
beni da lei ereditati. Egli sposò nel 1664 Agata
De Gregorio (Capit. Matr. Notar Giuseppe Zangla
26 febbraio 1664). Nacquero da questi coniugi
fra, gli altri figli, An-
drea, che sposò Maria Alberti e Cutrupia in
Castroreale (Capit. Matr. Not. Millemaci
21-1-1703), e Giuseppa sposata con Francesco
Marullo e Micali nel 1688, come si è detto.
Dal matrimonio di Andrea con Maria Alberti e
Cutrupia nacquero: Paolo, sacerdote, Mariano
sposato con Francesca Lazzari, e Giovanna
sposata, come ho fatto noto, col cugino Giovanni
Marullo e Colonna Romano, di Francesco e di
Giuseppa Colonna.
Questa illustre casata Colonna si estinse nella
prima metà del secolo scorso, ed i suoi beni
passarono per il matrimonio di Letteria, ultima
intestataria della Baronia di Centineo, nella
famiglia Gaetani dell’Aquila d’Aragona dei Duchi
di Laurenzana, patrizia napoletana.
Fortunato Marullo e de Godoy trascorse anche
lui, in massima parte, come il padre Francesco,
la sua esistenza in Castroreale, pur conservando
la cittadinanza milazzese e la iscrizione in
quella Mastra Giurataria. Egli sposò nel 1742,
in Milazzo, Francesca Coppolino figlia del U. J.
D. Don Francesco,
Giudice
delle Appellazioni, e iscritto nella Mastra
castrense.
Questo matrimonio si celebro in Milazzo perché
la famiglia della sposa colà risiedeva per il
disimpegno della magistratura a cui era stato
assunto il Giudice Don Francesco. Mon dopo al-
cuni anni di matrimonio Donna Francesca, ed il
vedovo Don Fortunato nel 1765 passò a seconde
nozze in Castroreale con Donna Francesca Maimone,
figlia del Dottor Francesco.
Anche questa casata Maimone la trovo iscritta
nella Mastra Giuratonia castrense nelle persone
del padre e dei fratelli di Donna Francesca, ma
tale Mastra non può considerarsi Nobile perchè
non è altro che un notamento degli Ottimati
indigeni, e pertanto valgano per essa famiglia e
per la Coppolino le considerazioni e le
conclusioni da me rese note nelle pagine
precedenti trattando della Mastra Giuratonia di
Milazzo. Morì Don Fortunato in Castroreale nella
sua casa in quel centro nel
1783, di anni 76. Fu suo figlio Francesco,
natogli dal primo matrimonio con la Coppolino.
Non mi risulta che dal secondo matrimonio
contratto con la Maimone vi sia stata
discendenza.
Francesco Marullo e Coppolino, dopo la monte del
padre Fontunato, riportò la stabile dimona della
sua famiglia in Mi-
lazzo, lasciando quella di Castroreale.
Tale trasferimento, che divenne poi definitivo
per i discendenti della sua linea, fu causato,
in massima parte, dal matrimonio da lui
contratto nel 1760 con Anna Muscianisi e di
Marco. Della nobilità di questa casata ho fatto
cenno nelle pagine precedenti. Dirò solo che il
ramo primogenito di essa si spense con Angela
Muscianisi e Del Pozzo sposata con Cesare Avarna
conte di Castroello. Non avendo questi sposi
avuto discendenza, Angela, alla sua monte,
chiamò alla successione del-
la Baronia di Centineo i suoi cugini Colonna
Romano e Del Pozzo, di cui ho fatto parola. La
linea di Casa Muscianisi di Milazzo ultragenita
di quella che fu intestataria della Baronia di
Centineo. Andrea Muscianisi e di Marco fu
fratello di Anna suddetta, e stipite della
omonima casata oggi fiorente in Milazzo. Fu
Donna Anna erede degli zii materni Di Marco, a
tale ingente eredità aumentò sensibilmente la
consistenza economica della nostra famiglia che
si trovò di bel nuovo in
primissima linea tra quelle che ebbero larghezza
di mezzi finanziari. In seguito, però, con la
abolizione del majorasco, e con le leggi
relative alla successione ereditaria, questa
fortuna
familiare, divisa e suddivisa tra tanti
rampolli, rimase quasi polverizzata, e diede
luogo a vari mutamenti di posizioni economiche
dei discendenti degli avi Marullo-Muscianisi.
Essendo ora pervenuto con la esposizione di
queste vicende familiari alla fine del ‘700,
termine già prefissomi nello imprenre la
compilazione e la pubblicazione di queste
Memorie, non proseguo oltre, lasciando che altri
dopo di me possa imparzialmente continuare
questo lavoro. Solo credo utile segnalare al
futuro compilatore dello aggiornamento di questa
genealogia seguenti nomi di alcuni membri della
nostra famiglia che nel secolo scorso per le
loro benemerenze civili e patriottiche meritano
di essere ricordati:
DON ANTONINO MARULLO E MUSCIANISI, vissuto dalla
fine del ‘100 alla prima metà del secolo
successivo, fu un gentiluomo dotato di grande
intelligenza ed assai versato nelle di-
scipline giuridiche. Esperto amministratore,
venne chiamato in età giovanile a reggere le
sorti del Comune come Sindaco, e rimase in tale
carica per lunghi anni. Morì tra il generale
rimpianto.
L’ABATE DON LUDOVICO MARULLO E PROTO, dedicò
tutta la sua esistenza alla costruzione delle
opere necessarie alla sicurezza del Porto di
Milazzo sui cui moli fece sorgere quegli ampi
magazzini che fino ad oggi testimoniano la
grande attività costruttrice del benemerito
Prelato.
DON GIOACCHINO MARULLO E CUMBO. fu un coltissimo
gentiluomo ed un savio amministratore. Come
Sindaco come Assessore egli si interessò molto
proficuamente della amministrazione comunale di
Milazzo per moltissimi anni. Presiedé
egregiamente i comitati di beneficenza
cittadini.
DON
TOMMASO MARULLO E PROTO, ancor giovinetto si
votò alla causa della Liberta e della
Indipendenza della Patria.
Fu uno dei MILLE e segui Garibaldi in tutte le
leggendarie azioni di guerra che formarono la
gloriosa epopea garibaldina.
DON
ANTONINO MARULLO E d’AMICO, mio Padre, fu
fervente patriotta e cospiratore in Napoli per
abbattere il governo borbonico. Discepolo dei
sommi che prepararono ed effettuarono il
Risorgimento Nazionale, fu arrestato in Napoli e
rimase qualche tempo in quelle carceri. Liberato
per intercessione del Primo Ministro Cassisi,
suo parente, fu inviato in esilio e poi
confinato in Milazzo con la assoluta proibizione
di tornare nella sua prediletta Napoli. Dotato
di vasta cultura, scrittore forbito, lasciò
molti suoi scritti pregevoli, quasi tutti
inediti, che andarono dopo la sua morte dispersi
per fatalità di eventi. Fu varie volte Sindaco
di Milazzo e Deputato al Consigliere
Provinciale.
Ciò che maggiormente lo distinse e lo rese
oggetto di grande considerazione fu la rara
dirittura del suo carattere accompagnata da
eccezionale modestia. Mon in Milazzo nel
dicembre del 1931 alla età di 98 anni.
La discendenza
secondogenita di Don Francesco Marullo e Parra
Venendo ora ad occuparmi di questa linea,
originata dal secondo matrimonio di Francesco
Marullo e Parra, matrimonio di cui ho ampiamente
trattato nelle pagine precedenti, richiamo alla
memoria del Lettore il fatto da me esposto cioè
di essere a tale discendenza toccati, nella
divisione dell’asse ereditaria paterno,
tutti i
beni posti nella Piana di Milazzo, beni che
erano molto importanti se non per vastità ma
certamente per produttività. Ho anche sopra
accennato che Antonino Marullo e d’Alarcon sposò
la gentildonna Chiara Beltran e Pons de Leon.
Da tali nozze vide la luce Andrea, che fu
battezzato nel Duomo milazzese il 25 luglio
1686. Sposò costui il 10 novembre 1705 la nobile
Antonia Lucifero e Cumbo. Della nobiltà di
queste due
casate ho già fatto parola in precedenza.
Andrea suddetto mon nel 1752, e fu sepolto nella
Chiesa del Rosanio. Suo figlio Salvatore Marullo
e Lucifero sposò a sua volta in Milazzo il 19
ottobre 1734 nella chiesa di Santa Maria
Maggiore la cugina Giovanna Passalacqua e
Lucifero. Egli mori in Milazzo nel 1787 e fu
inumato nella Chiesa di San Domenico.
Dal matrimonio Marullo-Passalacqua nacquero
Andrea e Remigio. Il primo di questi due
fratelli celebrò sue nozze con la nobilissima
Maria Ventimiglia e Bellaroto di Don Tommaso il
31 dicembre 1778 nella Chiesa di Santa Maria
Maggiore. Egli passò a miglior vita in Milazzo
nella sua abitazione di via San Giacomo il 24
giugno 1828. Da questa notizia si rileva che la
casa di via San Giacomo, oggi degli eredi Dott.
Cambria, fu abitazione di questa linea dei
Marullo fin dagli ultimi decenni del
91700. Di Don Andrea Marullo suddetto farò
menzione tra breve.
Dalla fine del ‘600 a tutto il secolo seguente,
il ‘700, i Marullo d’Alarcon vissero stabilmente
in Milazzo con lustro e decoro, delle rendite
dei propri beni, ricoprendo le più alte ed
onorifiche cariche municipali, contraendo nobili
alleanze matrimoniali.
E’ inutile che qui mi dilunghi a trattare della
nobiltà dei Lucifero e dei Ventimiglia perché
tali casate sono abbastanza note per le loro
chiarissime qualità nobiliari.
Per quanto riguarda i Passalacqua dirò solo che,
quantunque si affermi trattarsi di un ramo della
omonima famiglia patrizia cosentina, io non ho
gli elementi per poter affermare questa
consanguineità.Mi risulta solamente che trovasi
iscritto Don Domenico Passalacqua nella Mastra
Giuratoria milazzese, e ho anche notizia che la
Consulta Araldica del Regno d’Italia riconobbe a
questa casata il titolo generico di Nobile con
trasmissibilità.
Mi intrattengo ora brevemente sulle iniziative
nobiliari di Don Andrea Marullo e Passalacqua.
Nel 1778, come ho sopra accennato, egli aveva
sposato Donna Maria Ventimiglia e Ballaroto, e
da tale matrimonio erano nati vari figli tra i
quali nel 1778 Salvatore. Verso il 1796, avendo
Don Andrea pendente una importantissima lite
davanti la Gran Corte Civile di Messina,
credette opportuno, per poter meglio seguire gli
sviluppi della causa, venire ad abitare nella
città zanclea ove non gli tu difficile trovare
una casa tra le tante che sorgevano in quel
periodo sotto gli auspici del Governo Borbonico,
il quale si era impegnato di ricostruire la
città distrutta pochi anni avanti dal terremoto
del 1783.
Si ricostruiva Messina non solo nella parte
edilizia con le case, le piazze, le strade,
seguendo un ben appropriato nuovo piano
regolatore, ma anche si riordinava la vita
sociale, economica, culturale. Si rimettevano in
ordine le corporazioni delle vane attività di
lavoro, quelle del braccio e quelle della mente;
Si ricostituivano le classi sociali nella città
che si andava a mano a mano ripopolando non solo
dei vecchi messinesi, che ritornavano
amorevolmente come figli alla madre, ma anche e
dippiù di nuove correnti di immigrazione che
venivano dalle provincie siciliane, dalle
Calabrie ed anche dall’estero, attirate da tutte
quelle larghezze, franchigie provvidenze, aiuti
di ogni genere che Ferdinando di Borbone aveva
con leggi speciali elargito al fine di far
rivivere e rifiorire la bella Regina del Peloro
tanto duramente perseguitata dalla sventura.
Nel 1798, per iniziativa del Marchese Letterio
de Gregorio e del Cavaliere Salesio Mannamo, Si
diede inizio alla compilazione della nuova
Mastra Nobile con la reintegra delle famiglie
che erano annotate negli antichi elenchi, andati
dispersi, e con la aggregazione di nuove casate.
Don Andrea Marullo non tardò a presentare la sua
domanda di reintegra, documentandola con
validissimi atti legali mediante i quali provò
che la linea di Casa Marullo trasferitasi da un
secolo e mezzo a Milazzo, non solo era
direttamente discendente dallo antichissimo
ceppo dei Conti di Condojanni, ma per La
estinzione di tutte le altre linee messinesi e
palermitane della famiglia, ne era divenuta La
vera ed autentica rappresentante. Accluse al
Processo, oltre I documenti genealogici
comprovanti grado per grado la sua linea
ascendentale fino a raggiungere l’attacco col
ceppo principale, quattro Declaratorie di
Nobi1tà rilasciate dal Senato di Messina a
favore di Giovanni Marullo e Miano e del figlio
Francesco Marullo e Parra, segnate con le
seguenti date: 26 e 28 novembre 1620, 27 agosto
1650 e 21 febbraio 1659. Il Senato Peloritano,
dopo di aver molto accuratamente esaminato il
Processo, e dietro il parere favorevole
dell’Assessore Oridinario, in data 16 marzo 1801
emise il seguente Decreto di Reintegra:
<<Isti
Don Andreas quondam D. Salvatoris Marullo,
eiusque
<<filius D. Salvatoris declarentur descendere a
quondam Don
<<Petro Marullo, fratre D. Thomae Comitis
Condoiannis et Au-
<<gustae, Baronis Calatabiani et pluries
Statigoti in hac Urbe
<<Messanae, nec non a quondam D. Hieronimo
Marullo filio dicti
<<D. Petri, et a quondam D. Johannes Marullo
filio dicti quondam
<<D. Hieronimi, omnibus patritiis Messanensibus,
quibus decla-
<<ratis iste D. andreas stante Renunciatione iam
per eodem sti-
<<pulata civitatis Mylarum, ubi natus est, et
iste D. Salvator
<<stante statuto domicilio in hac praedicta
Urbe, declarentur No-
<<bilis Messanensis, et annoteatur in Albo
Nobilium, videlicet
<<dictus Don Andreas ab odie in antea, dictus D.
Salvator po-
<<stquam allinxerat annum vigesimum quintum suae
actatis,
<<et expediatur in forma etc. etc..
FILINGERI, LQFFREDA, DE GREGORIO, SPADARO,
<<SANTI, F. MARINO Assessor Ordinarius, SALESIUS
MANNA-
<<MO REGIUS MAGISTER NOTARIUS >>
Dopo questo giusto riconoscimento Don Salvatore
Marullo, essendosi domiciliato in Messina per
aver contratto matrimonio con Donna Lavinia
Marchese e Denti, entrò a far parte come
Confrate nelle Arciconfraternite degli Azzurri e
dei Bianchi della Pace, nella quali sali poscia
alla carica di Governatore. I suoi figli e
nipoti ebbero la Croce di Onore e Devozione del
S. M. O. di Malta, e seppero con il loro
comportamento di autentici gentiluomini, e con
il signorile tenore della loro vita guadagnarsi
la generale estimazione ed ascendere alle più
alte ed onorifiche cariche.
Di questo ramo della famiglia, trasferitosi come
si è detto, alla fine del ‘700 in Messina, vanno
ricordati i seguenti personaggi che nel passato
secolo e primi decenni del corrente si re
sero benemeriti ed illustrarono la casata.
DON
SALVATORE MARULLO E CUMBO, autentico gentiluomo
di stampo antico, fu vane volte e per molti anni
Sindaco di Messina. Oculato amministratore, salì
al Governatorato delle Arciconfraternite degli
Azzurri e dei Bianchi della Pace
di
Messina. Fu Principe di Castellaci maritali
nomine come marito di Donna Anna Balsamo
intestataria di tale titolo. Fu Cavaliere di
Giustizia del S. 0. di Malta (senza voti).
Presidente
del Circolo della Borsa e di altri Clubs
cittadini, fu senza dubbio una delle figure più
spiccate della aristocrazia peloritana.
DON
FRANCESCO MARULLO E BALSAMO, Principe di
Castellaci, figlio del precedente, fu anche lui
un autentico gentiluomo. Ebbe carattere mite e
modi assai gentili. Amò La cultura, e la sua
prediletta occupazione fu lo studio. Mon nel
terremoto di Messina del 1908 senza lasciar
discendenza.
Voti e speranze
Nel chiudere questa rievocazione di vicende
familiari mi sembra opportuno sottolineare che,
nato nel luglio del 1881 nella gentile e
patriottica Milazzo, io, fin dalla mia prima
fanciullezza mi son sentito particolarmente
attratto verso questa bella ed illustre città
del Faro. Era per me motivo di
grande gioia potervi, ancora bambino, venire con
mio Padre che vi faceva frequenti e lunghe
dimore. Poi la mia famiglia si stabili in Roma,
ove rimanemmo oltre un decennio. Ai primi del
corrente secolo, in seguito alla morte della mia
amatissima sorella Maria, giovinetta appena
quindicenne, perdita che addolorò moltissimo la
santa memoria di mia Madre, tornammo in Sicilia
lasciando con grande pena La Capitale e la
nostra bella casa romana di via Milano Dopo
qualche anno, trascorso tra Milazzo e Messina,
fissai La mia residenza in Palermo e vi rimasi
per alcuni lustri fino al giorno in cui venni a
stabilirmi quì definitivamente malgrado che la
città, da pochi anni devastata dal terremoto del
1908, fosse ancora formata in massima parte da
agglomerati di baracche di legno. e la vita
trascorresse tutt’altro che facile e lieta in
mezzo a tante rovine. E da un qua Rantennio
dimoro in questa cara Messina che oggi vedo con
soddisfazione quasi ricostruita, augurando con
sincero cuore che questo suo progressivo
sviluppo continui sempre con ritmo accelerato e
senza mai conoscer soste fino a quando le
consentirà di riprendere il suo pasta nel rango
delle più belle, civili e fiorenti città
italiane.
Ai nostri tempi 1’Araldica e la Genealogia non
sono, come molti erroneamente ritengano,
discipline atte solo ad incrementare e stimolare
la vanita umana. ma esse scienze invece, oltre
ad essere di complemento alla Storia, danno un
notevole e benefico apporto nel campo sociale in
quanto determinano in cobra che hanno conoscenza
di un luminoso, a semplicemente onorato, passato
della propria famiglia, il senso di
responsabilità, a dover continuare e trasmettere
quanta di
nobile, e di degno hanno ricevuto dagli avi. E
pertanto esprima la fondata speranza che questa
mia lavoro non sia stato compilata e divulgata
invano, auspicando che non solo i miei figli
Vittorio e Maria e mio nipote Carlo, ma che
anche tutti cobra che sona della nostra stirpe e
nostri consanguinei vicini e lontani per linea e
per grado, vogliano e sappiano portare nella
loro vita questa nostro nome con la stessa
onestà, bontà, dignità, operosità costruttiva e
spirito cavalleresco con cui i nastri antenati
lo onorarono e lo resero chiaro, amato e
rispettatto |