CAPITOLO V

I DISCENDENTI DI DON PIETRO MARULLO

SI STABILISCO-  NO IN MILAZZO:

I Figli di Don Pietro Marullo


Come a pagina 20 ho accenato, alla morte di Pietro Marullo i suoi figli Girolamo e Giovanni non trovarono che le briciole del cospicuo patrimonio paterno. Evidentemente gli affari del grande banchiere messinese erano negli ultimi tempi andati male: i frequenti crolli di aziende bancarie, di cui egli era corrispondente, gli avevano inflitto ingenti perdite di denaro.
Per maggior disgrazia buona parte della sua flotta mercantile era naufragata durante una furiosa tempesta scatenatasi nel Mediterraneo.
Girolamo si era sposato nel 1513 in Palermo con la cugina Isabella Marullo, figlia di Tommaso, di Miuccio, barone di Saponara e Calvaruso, e per la ingente dote della moglie non aveva sentito il contraccolpo del dissesto paterno.
Di Giovanni non mi è pervenuta altra notizia o traccia della sua esistenza, tranne un documento da cui si rileva che questi due fratelli, Girolamo e Giovanni, ebbero una lite per la successione ereditaria paterna, lite che fu composta nel 1529 con un atto di transazione stipulato in Notar Mangianti.
Girolamo fu una personalità cospicua nella Messina del suo tempo: per vane volte venne chiamato a ricoprire la carica di Consulente della città in rappresentanza della classe patrizia, come risulta da atti autentici che ho nel mio archivio.
Da lui e dalla moglie Isabella nacque Giovanni, il quale, come il padre, fece parte del Cansiglio ordinaria pelaritano. Egli fu il primo di questa linea che orientò la sua discendenza verso
i centri del Costretto: Milazzo, Santa Lucia, Castroreale, centri ove circa un secolo dopo la sua linea doveva fissare la residenza per il susseguirsi di eventi di cui farò parola.

Don Giovanni sposa Betulla d’Amico
Giovanni fu dunque il primo che, oltrepassata la catena dei peloritani, mise piede come possidente di terre nella Piana di Milazzo, e ciò per avere sposato la nobildonna Elisabetta (detta Betulla) d’Amico nel 1559. Il contratto dotale di questi sposi fu rogato dal Notar Francesco Pagana di Santa Lucia del Mela, e ne detengo copia legale nel mio archivia. Tanto Giovanni come Betulla, all’epaca del loro matrimonio, non dovevano essere giovani di prima pelo, giacché la sposo era nato intorno al 1520, e la spasa era già vedova cpn due figlie avute dal primo marito Masi di Mansueto. In compenso però Elisabetta, detta Betulla, era nobilissima perché figlia del magnifico Gasparo d’Amico della insigne famiglia omonima, e castellano in feudum della piazzaforte e Terra di Santa Lucia del Mela.
Dagli stessi capitoli nuziali in notar Pagana risulta che la sposa, oltre ad essere di illustre casata, aveva una ricca dote costituita dai cespiti seguenti:
Onze 510 in contanti;
Un latifondo in territorio di Milazzo contrada Guntura consistente in vigneti, gelseti e frutteti. Erano annessi a tale fondo: una casina di abitazione e due grandi appezzamenti di terre a seminerio;
Onze 600 in corredo;
Un magazzino con annesso giardino nella città di Milazzo;
Due schiave di casa levantine;
Onze 27 annue di censi;
 


Un giardino coltivato a gelseti con annessa casina di villeggiatura al Capo di Milazzo;
Altro fondo rustico in contrada Santa Flavia in Milazzo;
Quattro salmate di terra in Santa Lucia del Mela, a Seminerio.
Lo sposo si obblig6 di dare garanzia della dote sul suo patrimonio costituito da beni che possedeva in Messina tra cui la casa paterna, ove la coppia andò a stabilirsi, e dove nacque il figlio Francesco nel 1560-61. Nel 1564 Giovanni ebbe la nomina di Capitano di Castroreale, e dove trasferirsi in quell’importante centro rimanendovi alcuni anni. Egli morì in Messina nella peste del 1575 lasciando il figlio Francesco giovinetto. La sua vedova visse ancora qualche anno, ma nel 1581 era già morta, come si legge nei dotali del figlio.
Francesco Marullo e d’Amico aveva trascorso quasi tutta la sua infanzia in Castroreale ove, come si è detto, il padre erasi trasferito con la famiglia per il disimpegno della Carica di Capitano.
In quella antica città demaniale molte salde amicizie si erano stabilite tra i Marullo e le principali famiglie del luogo, ed in particolare con quella del magnifico Matteo Miano, ricco possidente e cospicua personalità castrense. Tale amicizia non fu troncata per lo allontamento di Giovanni e dei suoi da Castroreale, ma si mantenne più che mai viva. Il Miano aveva una figlia unica a nome Lavinia della stessa età del giovane Francesco Marullo, e certamente i due ragazzi furono compagni di studio e di svaghi. Forse perché i loro genitori progettarono, fin dalla infanzia dei giovani, di unirli in matrimonio, come allora era consuetudine, o forse perché nacque tra Francesco e Lavinia spontaneo l’amore, fatto si è che, nel 1581 essi si sposarono, appena ventenni. Il contratto dotale, di cui ho copia legale nel mio archivio, porta la data del 1 dicembre 1581, e fu rogato dal notaio Filippo Impallomeni in Castroreale. Dal detto atto si rileva che lo sposo aveva perduta anche la madre, e
che la madre della sposa, a nome Francesca Calamoneri, anche essa, a quella data, era passata a miglior vita. Dallo stesso contratto dotale risulta che la dote di Lavinia era costituita da terre in contrada Centineo e da case e botteghe in Castroreale centro. In più essa ebbe tutti i beni che, come figlia unica,le spettavano dalla eredità materna, compresi quelli pervenuti e da pervenirle dai nonni materni Giacomo ed Antonella Calamoneri. Tutti questi cespiti rustici ed urbani erano posti,
alcuni in Castroreale centro, altri nelle colline degradanti verso Barcellona e Pozzo di Gotto, e nella pianura in contrada Calderà.
I beni di Don Francesco Marullo in Milazzo e in Castroreale

Gli sposi Marullo-Miano andarono ad abitare in Messina nella casa avita di Francesco, ma la amministrazione dei loro beni, rappresentati dai cespiti esistenti in Milazzo e Castroreale, li obbligava a risiedere spesso, e per non brevi periodi, in questi due centri. Tuttavia Milazzo era la meta principale dei loro soggiorni fuori dalle mura. peloritane. Nella gentile città del sole il loro figlio Giovanni il 21 febbraio 1607 celebrò in quel Duomo il suo matrimonlo con Flavia Parra, figlia del nobile Nicolao.
La famiglia Parra, oggi estinta, appartenne in Milazzo al primo ceto, come ne fa fede la Mastra Giuratoria di quella città costituita nel 1649, nella quale si riscontra registrato il nome di Nicolao Parra che fu o il padre di Flavia suddetta o un suo nipote od omonimo. Non sono pervenuti fino a me i Capitoli nuziali Marullo-Parra, ma da certe notizie attendibili, ricavate da antichi documenti, risulta tra i beni dotati di Flavia suddetta una casa in città, casa che fu la prima che ebbero i Marullo in quel centro, e che era ubicata nella Strada di Santa Caterina, poi Ottaviana, oggi Umberto. Tale casa si accrebbe successivamente con la fabbrica di altri appartamenti ad essa annessi, necessari per la abitazione dei figli e dei discendenti della coppia Marullo-Parra. Questo progressivo accrescimento edilizio formò da li a poco un notevole comprensorio di costruzioni che
andava dallo stabile che è oggi degli eredi del fu nobile Gino Leopoldo Marullo, mio carissimo ed indimenticabile fratello, a quello degli eredi del fu nobile Sebastiano Marullo, limitrofo a quest’ultimo alla chiesetta di Santa Caterina. Annessi a questi fabbricati, di cui qualcuno passò poi per vendita ad altre famiglie, erano, dalla parte di ponente verso il mare, vari appezzamenti di terre coltivate ad ortaggi ed a frutteti, e perciò chiamati giardini. Ivi si trovavano alcune costruzioni a pian terreno, ove erano collocate le scuderie e le rimesse della ricca e nobile casata messinese. Ampi magazzini sorgevano contigui, adibiti a depositi di derrate agricole frutto dei cespiti rusticani della famiglia, e vi si accedeva da ampie porte che si aprivano sulla strada pubblica ai margini dell’arenile del mar di ponente.
In prosieguo di tempo ebbero i Marullo, in Milazzo, altre dimore: quella di Via San Giacomo, oggi degli eredi del fu Dottor Domenico Cambria, casa che appartenne a quel ramo dei Marullo d’Alarcon stabilitosi in Messina ai primi dell’800, l’altra, pasta in Via Ottaviana, oggi Umberto, tra i due vicoli che scendono verso la Marina, e che fu fabbricata nella prima metà del secolo scorso, con quella nobile architettura ed ampiezza di locali che si addicevano alle case magnatizie, per iniziativa del mio bisavolo Don Antonino Marullo e Muscianisi, allo scopo di dare una degna e signorile dimora al suo figlio primogenito Don Francesco Marullo e Bonaccorsi che si univa in matrimonio con la nobile Donna Grazia Cumbo.
 

 

 

Situazione di Milazzo alla meta del <<600>>

L’importanza militare di Milazzo era andata gradatamente aumentando col trascorrere del tempo fin dalla assunzione al regno di Sicilia del re Alfonso d’Aragona.
Ai primi del ‘600 la troviamo classificata tra le sei piazzeforti di Sicilia. Le altre cinque erano Palermo, Messina, Catania, Siracusa e Trapani. Le numerose truppe spagnole che presidiavano il formidabile castello erano comandate ad un ufficiale col grado di Capitan d’Armi prima, e di Governatore in seguito. Il quale aveva giurisdizione militare su tutta la vasta Comarca a lui soggetta, che andava dalla Terra del Gibiso a quella dell’Oliveri. Rimanevano pertanto comprese in tale giurisdizione le seguenti Terre: Tripi, Montalbano, Novara, Furnari, Castroreale, Santa Lucia del Mela, Condrò, San Piero, Monforte, Rometta, Rocca, Venetico, Gualtieri e Saponara. Su questi centri, di cui la maggior parte feudali, e pochi demaniali, il Comando di Milazzo godeva del mero e misto imperio e delle prime e seconde cause.
Lo accrescimento della popolazione milazzese indubbiamente si verificò ai primi del secolo XVII, per l’importanza di Piazzaforte di prima classe attribuita alla città. Fu quindi necessario incrementare l’agnicoltura nella Piana per poter fornire le vettovaglie necessarie allo aumento dei consumatori.
Nello stesso tempo furono aperte nuove strade campestri per il trasporto dei prodotti agricoli in città.
Questo stato di cose portò un notevole vantaggio alla economia cittadina in genere ed a quella dei proprietari terrieri in particolare, i quali ultimi, in verità, erano quelli che componevano il primo ceto, che in alcune città demaniali fu detto degli OTTIMATI, in altre, come Milazzo, fu chiamato CETO DEI NOBILI.
Anche dal punto di vista dell’edilizia la città si avvantaggiò molto durante la dominazione spagnola per il fatto che sorsero nuovi quartieri che formarono la città bassa, quartieri che gradatamente si estesero oltre l’istmo, lungo la Marina ed il Porto, circondati da alte e ben fortificate muraglie. Cosi avvenne che le principali famiglie lasciarono le loro antiche abitazioni poste nella città alta, e scesero alba parte bassa ove costruirono le nuove dimore, le quali dimore furono sempre modeste e mai, tranne qualche rara eccezione, dimostrarono la ricchezza o la agiatezza del loro possessori. Potrebbe ciò essere interpretato come un indizia della semplicità di vita degli antichi milazzesi, ed andrebbe ascritto tale evangelico costume a loro merito, ma d ‘altra parte occorre tener presente che probabilmente sarà sta-ta un’altra la ragione della modestia della edilizia milazzese: la Piana, tanto decantata per la sua straordinaria fertilità, era angusta, e ivi, e solo ivi, si trovavano i beni terrieri degli Ottimati della città. La quale classe era numerosa, e ne conseguiva che la terra si trovava divisa in fondi di modeste proporzioni che fruttavano modeste rendite, in gran parte provenienti dalla coltura dei bachi da seta, e dal prodotto di vigne e di ulivi.
In seguito, però, tale disagiata condizione godé di un sensibile cambiamento perché con l’incremento delle colture, con il sensibile aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, aumento causato dalla maggior richiesta per ii notevolissimo accrescimento della guarnigione spagnola, cal progressi degli scambi commerciali, per tutte queste nuove circostanze favorevoli, le condizioni economiche di Milazzo diventarono, se non traspare, agiate.
Il titolo di Città concesso dalla Spagna, quella di Piazzaforte di prima ordine, la manifesta simpatia del Governo di Madrid, elevarono il livello di vita del primo ceto milazzese, e ne stimolarono le ambizioni.
Vi contribuì maggiormente la frequente dimora in quella città di alti magistrati ed ufficiali spagnoli chiamativi per disimpegno di cariche governative civili e militari. La ostentata o naturale fastosità di vita di tabi ospiti che avevano continui contatti con la classe elevata del luogo, le gale, le cavalcate, iricevimenti, i balli, i banchetti, i più semplici atti della vita quotidiana degli ospiti, furono presi ad esempio e divennero norma inderogabile per i nobili milazzesi che si studiarono imitarne ogni manifestazione, ogni atteggiamento, superando nello alto livello di vita da essi adottato anche la opulentissima nobiltà peloritana. Molti furono i matrimoni contratti tra gentildonne spagnole, figlie o sorelle di alti ufficiali a funzionari, con gentiluomini milazzesi: le alleanze can le famiglie d’Alarcon, de Godoy, Pons de Leon, Ortigas. Alcozer, Beltran ne sono prova.
Non pochi spagnoli si accasarono in Milazzo e vi rimasero stabilmente con la loro discendenza. In tutte le famiglie di alto rango si parlava spagnolo, e nelle feste ufficiali e familiari, negli inviti si usava il cerimoniale catalano a andaluso o castigliano.
Alla fine della dominazione spagnola, sgombrata la Sicilia dalle truppe iberiche, col sopraggiungere dei savoiardi di Vittoria Amedea prima, e dei tedeschi di Carlo VI poi, Milazzo non fece buon viso al nuovo stata di cose, ma con l’avvento di Carlo III di Borbone al trono delle Due Sicilie i milazzesi si rallegrarono. La città chiese nuove preeminenze e le ottenne. La Mastra Giuratoria ebbe l’appellativo di Mastra Serrata per le difficoltà che rendevano assai rare le nuove aggregazioni.
Le famiglie che vi erano gia iscritte mal soffrivano che nuovi arrivati ottenessero l’onore di aggregarvisi. Vi fu in proposta qualche caso clamorosa di protesta collettiva. Il Senato
ebbe i suoi mazzieri, i suoi alabardieri, i suoi pavonazzi, la sua Corte al completo, e, quando usciva in forma ufficiale, il suo fasto non aveva nulla da invidiare a quello delle maggiori e piùillustri città siciliane. Anche per la edilizia si notò un miglioramento: si videro sorgere alcune nobili costruzioni di pregevole architettura di cui ama non rimane che qualche tenue traccia per i disastri tellurici e gli eventi bellici che funestarono quella nobile città.
 

 

Don Francesco Marullo e Parra
Dopo aver tratteggiato con brevi cenni nelle pagine precedenti la situazione politica, militare ed economica di Milazzo nella prima metà del ‘600 per dare una idea dell’ambiente in cui veniva a stabilirsi definitivamente la linea della casata di cui ora mi occupo, vengo a far parola di un personaggio di molto rilievo per essa linea, e delle sue vicende in quel burrascoso periodo di congiure, rivolte, repressioni e guerre che funestarono la Sicilia.
Trattasi di Don Francesco Marullo figlio di Giovanni e di Flavia Parra. Egli nacque il 12 febbraio 1609, e fu battezzato nella chiesa parrocchiale di San Giacomo, come risulta dalla fede di battesimo in mio possesso. I suoi genitori, pur avendo il loro domicilio in Messina nella casa avita dei Marullo, trascorrevano, come si è detto, molta parte dell’anno nella gentile ed ospitale cittadina per sorvegliare e dirigere la loro grande azienda agricola composta di fondi posti nei territori di Milazzo, Castroreale e Santa Lucia del Mela.
Francesco, rimasto orfano giovanissimo di entrambi i genitori, si trovò in possesso di un cospicuo patrimonio. Egli il giorno 30 settembre 1629, appena ventenne, sposò nella Parrocchia di San Giacomo la giovane Fulvia Perdichizzi di Antonino. I Capitoli matrimoniali di questi sposi furono stipulati in Notar Nicolò Caruso il 6 agosto 1629.
La Famiglia Perdichizzi, benché sia nota in Milazzo per aver dato personaggi che si distinsero per cultura e per ingegno, tra cui l’autore di una pregevole Storia della sua città natale, e sebbene io la trovi annotata nella Mastra Giuratoria del 1649 in persona di Giuseppe Perdichizzi, e nell’altra del 1705 ove è iscritto Don Giovan Battista dello stesso cognome, tuttavia non posso fare a meno di considerarla appartenente a quel numero di casate di proprietari benestanti che vivevano more nobilium, ma che non avevano nessuna delle qualità nobiliari richieste

per venir comprese nella categoria della nobiltà di prima classe, detta Generosa. Tale mia convinzione, per nulla modificata o attenuata, o taciuta per il fatto che trattasi della casata di una
mia antenata, è corroborata dal Real Dispaccio in data 25 gennaio 1756 del re Carlo III di Borbone, Decreto che qui riporto


Delle Mastre Nobili di Sicilia
<<Volendo il Re che sieno per punto fisso posti in chiaro
<<una volta li varii dubbi occorsi fino ad ora sopra la qualità e
<<grado della nobiltà che sia necessaria in quelli che pretendono
<<entrare a servire da Cadetti nelle truppe, ha comandato fare
<<le seguenti dichiarazioni, le quali si hanno da osservare ge-
<<neralmente in forma di legge e positiva ordinanza in av-
<<venire.
<<1° Che prima di ogni cosa si sappia, per governo di ognu-
<<no, per un incontrastabile presupposto, che la nobiltà nei
<<Reali Dominii si ritrova stabilita in tre differenti classi.
<<2° La prima consiste nella Nobiltà che chiamano Genero-
<<sa, e si verifica allorquando una famiglia nella continua serie
<<dei secoli è giunta a possedere qualche feudo nobile, o che per
<<legittime pruove consti ritrovarsi la medesima ammessa tra
<<le famiglie nobili di una Città Regia nella quale sia una vera
<<separazione dalle civili, e molto più dalle famiglie popolari. O
<<pure, sempre che abbia l’origine da qualche ascendente, il
<<quale, per la gloriosa carriera delle armi, della Toga, della
<<Chiesa e della Corte, avesse ottenuto qualche distinto e su-
<<periore impiego, o dignità, e che li suoi discendenti, per lo
<<corso di lunghissimo tempo, si fossero mantenuti nobilmen-
<<te, facendo onorati parentadi, senza mai discendere ad uffici
<<civili e popolari, ne ad arti meccaniche ed ignobili.
<<3° La seconda classe di nobiltà è quella la quale si dice
<<di Privilegio, e la godono tutti coloro i quali, per li loro meriti
<<e servizi personali prestati alla Corona ed allo Stato, giun-
<<gono ad essere promossi dalla munificenza dei principi a gradi
<<maggiori ed onorifici della Milizia, della Toga e della Corte,
<<dovendo in questa classe di nobili per Privilegio esser consi-
<<derati e compresi tutti gli ufficiali militari maggiori e mino-
<<ri, e quelli li quali, anche nelle altre classi di Stato Maggiore
<<dell’esercito, come nella carriera Ecclesiastica e delle lettere,
<<o altre classi di regali servigio o governo di Stato, giungono ad
<<ottenere decorosi impieghi, il quali imprimono carattere, o che
<<siano di equivalente sfera, colla distinzione ed ordine che ri-
<<chiede per la sua qualità, il differente maggiore o minore ran-
<<go di ciascuno.
<<4° E la terza classe di quelli che si reputano nobili è quella
<<chiamata Legale ossia Civile, nel quale rango si reputano tut-
<<ti quelli che facciano costare avere, cosi quelli, come il loro
<<padre ed avo, vissuto sempre civilmente, con decoro e como-
<<dità, e che, senza esercitare cariche ne impieghi bassi e popo-
<<lari, sono stati stimati, gli uni e gli altri, nella idea del pub-
<<blico, per uomini onorati e dabbene>>.

Volendo pertanto alla luce di questo Real Dispaccio precisare a quale delle tre classi di nobiltà appartenne la famiglia Perdichizzi, non può sussistere alcun dubbio che essa casata sia da assegnarsi alla terza categoria, ciò a quella della Nobiltà Legale. Ed alla stessa terza classe deve considerarsi catalogata la maggior parte delle famiglie i cui membri si leggono annotati nelle Mastre milazzesi del 1649, del 1705 e nelle altre posteriori, fatta pero eccezione per le seguenti che vanno ascritte alla prima classe ossia alla Nobiltà Generosa, per le ragioni che si leggono accanto al nome di ognuna di esse:
1) d’Amico: Per essere stata feudataria da antichissimo tempo, per essere vane volte passata all’Ordine di Malta, e per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina.
2) Baeli: Per essere stata feudataria di San Nicolò, e per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina.
3) Bonaccorsi: Per aver ottenuto dal Senato di Messina decreto di riconoscimento di Nobilità Generosa, e per essere passata all’Ordine di Malta.
4) Colonna: Per essere famiglia storica ed illustre.
5) Cumbo: Per avere avuto tra i suoi rampolli Giudici di Gran Corte, e per essere passata all’Ordine di Malta.
6) Lucifero: Per essere stata feudataria in Calabria, e per esser passata all’Ordine di Malta.
7) Di Marco: Per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere passata all’Ordine di Malta.
8) Marullo: Per essere stata iscritta nelle Mastre Nobili antiche di Messina, per essere passata all’Ordine di Malta, e per essere stata feudataria in Sicilia e in Calabria.
9) Muscianisi :Per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere stata feudataria di Centineo.
10) Orioles: Per essere stata feudataria di San Piero sopra Patti, e per essere passata all’Ordine di Malta.
11) Proto: Per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina.
12) Romano: Per essere stata iscritta nelle antiche Mastre Nobili di Messina, e per essere un ramo della famiglia Colonna storica ed illustre, di cui al n. 4.

A queste 12 famiglie bisogna aggiungerne altre tre: d’Alarcon, de Godoy e Ortigas, ma, senza entrare nel merito della loro provata o provabile nobiltà Generosa, faccio notare che trattasi
di casate spagnole di alti Ufficiali e Comandanti la Piazza, le quali erano ammesse di ufficio a concorrere o a dar voce negli scrutini per le elezioni delle cariche municipali.
Trovandomi ora a trattare brevemente l’argomento delle Mastre Nobili di Sicilia in generale, e di quella di Milazzo in particolare, mi sembra opportuno far rilevare che la Consulta Araldica del Regno di Italia emise provvedimenti nobiliari tra loro contrastanti sulla validità o meno, come titoli primordiali, delle iscrizioni di antenati alle Mastre Nobili di alcune Città Regie fra cui Milazzo. Questa disparità di trattamento non fu un segno della continuità di quella mirabile oculatezza ed imparzialità che tanto fecero apprezzare quell’altissimo Ufficio ai suoi tempi d’oro che culminarono sotto la guida illuminata dei Commissari del Re, Barone Manno e Conte Barattieri di San Pietro. Rimane ora solo da auspicare che le Commissioni Araldiche ancora sopravvissute presso Ordini Cavallereschi Sovrani, e presso la Santa Sede, e quelle che potrebbero eventualmente in un giorno vicino o lontano essere ripristinate in Italia, tengano presente non solo il Real Dispaccio di Carlo III di Borbone del 1756, sopra riportato, ma anche il Rapporto Collettivo fatto dal Consigliere della Real Commissione dei Titoli di Nobiltà in Napoli, Conte Raimondo San Martino, in data 27 marzo 1857, e la Requisitoria del Procuratore Generale del Re presso la Real Commissione del Titoli di Nobilità e presso la Corte Suprema di Giustizia in Napoli, del giorno 8 aprile 1858.
Tutti questi documenti sono riportati nella pregevole pubblicazione dal titolo “LE MASTRE NOBILI” di Francesco Spadaro di Passanitello, e ivi si leggono rispettivamente alle pagine
22 e seg., 439 e seg., 452 e seguenti.
Perché Don Francesco Marullo e Parra divenne cittadino milazzese

Dopo undici anni dal suo matrimonio con la Perdichizzi,Franccsco ebbe un figlio che lo battezzato nella Chiesa di SanGiacomo il 2 ottobre 1640, e gli fu imposto il nome del nonno:
Giovanni. Purtroppo la gioia di questo felice evento fu turbata gravemente, dopo brevissimo tempo, dalla immatura morte della giovane Fulvia che si spense nel 1644 lasciando il marito nel-
la desolazione, ed il tenero pargoletto appena quattrenne.
Tre anni durò lo stato vedovile di Francesco, giacché il 2 dicembre 1647 egli passò a seconde nozze nel Duomo di Milazzo con Donna Giuseppa de Alarcon di Andrea. Questa famiglia Alarcon, che apparteneva alla nobiltà castigliana, fu re-metà del ‘500 prese parte di primo piano ad avvenimenti di
portata storica. Egli fu un valoroso ed esperto Capitano di Cavalli, e sali ad alti gradi della milizia, ma ciò che lo rese celebre fu la grande fedeltà dimostrata in qualsiasi circostanza al suo Re: l’Imperatore Carlo V. Tale fedelissimo attaccamento gli procurò, con la sovrana benevolenza, una serie di incarichi di grande fiducia. Alla battaglia di Pavia nel 1525, a cui prese parte come Maestro di Campo della cavalleria, battaglia finita con la vittoria delle armi imperiali e la cattura sul campo del re Francesco I, egli ebbe dal Marchese di Pescara la delicatissima missione di custodire il real prigioniero francese. Due anni dopo, nel maggio del 1527, avvenuto il sacco di Roma, trovandosi
il Papa Clemente VII de’ Medici prigioniero in Castel Santangelo, ove erasi rifugiato per sfuggire alle nefandezze degli scatenati luterani lanzichenecchi, ebbe come vigile custode il d’Alarcon. Dopo la pace di Cambrai Don Ferdinando venne in Sicilia al seguito di Carlo V, e vi rimase qualche tempo.
Passò poi a Napoli ove ebbe il comando del Castelnuovo.
La sanguinosa rivolta del popolo napoletano contro la istituzione del Tribunale del Sant’Ufficio trovò il d’Alarcon al suo posto di comando in quell’importantissima fortezza.
In ricompensa di tanti segnalati servigi, gli fu concesso il marchesato di Valle Siciliana nel reame di Napoli, ed altri feudi nobili. Ebbe una sola figlia che sposò un gentiluomo spagnolo della grande famiglia Mendozza a cui passò il marchesato e gli altri beni. Da Casa Mendozza poi, per successione femminile sia il marchesato di Valle Siciliana come gli altri feudi nobili, pervennero alla illustre Casa Caracciolo Rossi, patrizia napoletana, e precisamente alla linea dei principi di Torella che là detenne fino alla abolizione della feudalità.
In compenso di non essere stato allietato da prole mascolina Don Ferrante d’Alarcon ebbe molti fratelli, nipoti e pronipoti, i quali tutti vissero per molte generazioni nella scia luminosa lasciata da tanto illustre congiunto, e se ne avvantaggiarono per il conseguimento di cariche ed impieghi in prevalenza di natura militare. Uno di tali pronipoti, che portava anche il nome di Ferdinando, fu, nella prima metà del ‘600, Comandante del Castello di Milazzo, e vi rimase per lunghi anni. Il suo
nome si legge annotato tra i cinquanta soggetti scelti dal Vice-rè Don Giovanni d’Austria nel 1649 a formare la prima Mastra Giuratoria milazzese.
Fu suo figlio Andrea, ed anche lui dimorò col padre nel Castello della patriottica e bella cittadina. Giuseppina e Francesca, figlie di Andrea sposarono, La prima, come sopra si è detto, nel 1647 Francesco Marullo e Parra, la seconda il nobile Paolo Proto.
La conseguenza logica ed immediata del matrimonio contratto da Francesco Marullo con la d’Alarcon fu che, trovandosi ora egli legato da strettissimi vincoli di parentela con la famiglia più rappresentativa dell’ambiente spagnolo in Milazzo, divenne fedelissimo sostenitore della causa del Re Cattolico in quel periodo cosi denso di avvenimenti politici e militari, periodo nel quale buona parte dell’isola, e in particolare Messina, tentavano con ogni mezzo di scuotere il giogo straniero.
La Sicilia era esausta per le gravissime tasse che il governo spagnolo le imponeva con ogni pretesto, e che sempre aumentavano. La esosità dei baizelli era divenuta maggiormente insoffribile per la burbanza dei funzionari spagnoli, civili e militari, quasi tutti cadetti di buona famiglia e quindi squattrinati, o persone che godevano di alte protezioni a Madrid. Giungevanocostoro nella nostra isola per rimpannucciarsi ma non tralasciavano di manifestare la loro innata alterigia: tuttidicevano
di essere gentiluomini, rampolli di grandi famiglie, molti vantavano antenati Grandi di Spagna.
Il popolo siciliano era stanco di questa infelice situazione.
Scoppiavano quà e 1à sollevazioni che venivano prontamente soffocate nel sangue. Le congiure contro il malgoverno non si contavano più. Accrebbe questa tristissima situazione la scarsezza del raccolto del 1646: il grano prodotto in quell’annata nelle fertilissime terre sicule non bastò al fabbisogno della popolazione dell’Isola. La minaccia della carestia incombeva specialmente su Messina per la scarsa fecondità del suo territorio in massima parte montuoso. Avvenivano nella città del Faro frequenti tumulti che 1’accorrere precipitoso del Viceré, Marchese de Los Velez, riusciva a domare. A Palermo, per essere stata ridotta la misura del pane, il popolo tumultuò gridando: “Viva il Re, fuori gabelle e mal governo “! Il contagia della rivoluzione si dilatò per tutto il regno iin Catania, Girgenti, Monreale, Termini. Castelvetrano, Siracusa, Nicosia, Modica, Lentini, Mazzara, ed altre Città e Terre, si verificarono moti rivoluzionari.
In Palermo Giuseppe d’Alessi sollevò il popolo, che, prese le armi, divenne per qualche tempo l’arbitro dei destini di quella città, obbligando il Viceré a rifugiarsi con la famiglia, prima sulle galere, e poi nel Castello.
Questa ultima sommossa, avendo assunto un carattere di particolare gravita, indusse il Viceré di Napoli e quello della Sardegna ad inviare in Sicilia notevoli rinforzi di truppe spagnole, che, appena giunte, diedero agio al Los Velez di scatenare una feroce repressione con ogni sorta di pene e supplizi.
Si vide allora l’orrendo spettacolo di tante teste recise ed esposte al pubblico, di tanti corpi umani straziati e squartati penzolanti da forche, di case devastate ed incendiate. Regno dappertutto per oltre un anno il terrore!
In tali condizioni era la Sicilia quando nell’agosto del 1647 moriva in Palermo il Los Velez. Gli successero nel viceregnato, prima il marchese di Monte Allegro, e quindi il Cardinal Tri
vulzio, entrambi come Presidenti del Regno, durati in carica pochi mesi ciascuno.
Intanto erano pervenute a Madrid precise notizie di questa situazione in Sicilia, ed il Re Filippo IV decise allora di affidare 1’arduo compito di pacificare l’isola e scongiurare nuove sedizioni al suo figlio naturale Don Giovanni d’Austria, nominandolo Viceré con Real Dispaccio in data 1 settembre 1648.
Giunse questo Principe in Messina nel gennaio 1649 con la sua squadra di galere, e rimase nella città del Faro quasi per tutto il brevissimo tempo del suo governo, tranne qualche fugace soggiorno da lui fatto in Palermo per blandire quella nobiltà e consolare e rallegrare il popolo con feste e parate.
Il governo di Don Giovanni fu rivolto anzitutto a prevenire i tumulti e le congiure emanando disposizioni provvide per alleviare la miseria, istituendo nuovi ordinamenti municipali per rendere accessibili alla borghesia ed al ceto popolare le cariche cittadine. Non perseguitò le famiglie dei capi delle passate sollevazioni, e, pur usando i rigori necessari per stroncare nuovi movimenti e nuove congiure, non infierì sui responsabili, come ferocemente avevano fatto i suoi immediati predecessori. Può quindi dirsi essere stato il suo un governo saggio e relativamente tranquillo, allietato da feste popolari.
Purtroppo il viceregnato di questo buon Principe fu di breve durata perché, essendosi ribellata la Catalogna alla Corona Asburgica, il re Filippo IV, conoscendo il valore e la capacità del figlio nelle azioni militari, lo chiamo a Madrid per dargli l’incarico di domare la fiera regione catalana. Nel maggio del 1651 Don Giovanni se ne parti definitivamente dal regno con la sua squadra di galere, e veleggiò verso i suoi nuovi destini.
La permanenza di Don Giovanni d’Austria in Messina non era stata causata, come ha affermato qualche cronista palermitano del tempo, dalla sorveglianza che egli esercitava sui lavori di risarcimento della sua flotta nei cantieri peloritani, ma a risiedere in prevalenza nella Città del Faro lo aveva determinato il convincimento che era proprio questa città che la Corona Absburgica doveva attentamente sorvegliare, curare, blandire per non mettere in gioco il possesso dell’isola tutta. Tale convinzione il Serenissimo Viceré aveva saldamente radicata nella sua mente per le seguenti considerazioni:
1) per la posizione strategica della Regina del Peloro che col suo amplissimo porto era considerata in quei tempi la chiave del Mediterranco; 2) per Ia floridezza economica del popolo zancleo tutto dedito ai commerci ed al lavoro. senza distinzione di classi sociali; 3) per la sorprendente energia con cui i messinesi difendevano i loro antichissimi Privilegi che facevano della città quasi una Repubblica indipendente che si reggeva con proprie leggi e propri magistrati.
Don Giovanni, pertanto, penso a rafforzare le regie fortezze e munirle di nuovi mezzi, e nello stesso tempo intraprese una politica di pacifica penetrazione nell’ambiente locale dando ordini perentori in tal senso ai subalterni civili e militari.
In esecuzione di tali comandamenti la piazzaforte di Milazzo, che aveva il principale obiettivo di sorvegliare e minacciare alle spalle Messina nei prevedibili suoi tentativi di sollevazione, fu
resa maggiormente efficiente con nuovi apprestamenti bellici e col sensibile aumento della guarnigione spagnola.
Insieme a questi provvedimenti, che riguardavano la parte militare del programma Viceregio, furono applicati quelli diretti alla pacifica penetrazione nell’ambiente locale, ed infatti il Privilegio che istituì la prima Mastra Giuratoria milazzese porta la data del 6 novembre 1649, e la firma di Giovanni d’Austria. Tale Privilegio non solo pose i termini del come e del quando dovevano farsi gli scrutini per la elezione dei Giurati, ma indicò anche i nomi dei soggetti abilitati a concorrere alla
carica Giuratoria. A capolista di tale annotamento volle Don Giovanni che fosse posto il nome di Don Francesco Marullo.
Questa prelazione accordata al Marullo ha un particolare significato di opportunità politica, e va spiegata con le seguenti considerazioni Don Francesco era un ricco possidente, e perciò la sua indipendenza economica lo metteva al riparo di qualsiasi bisogno e quindi al disopra di ogni allettamento finanziario da parte dei nemici della Spagna. Inoltre il Marullo, tanto strettamente legato agli Alarcon per il recente parentado, dava assoluto affidamento di fedeltà alla causa asburgica.
Si teneva dalle autorità viceregie anche presente che, essendo Don Francesco consaguineo di tutti i Marullo di Messina, che avevano in quella città posizioni sociali, economiche e politiche di primo piano, avrebbe potuto adoperarsi a render favorevole alla Spagna l’esteso parentado peloritano in una eventuale rivoluzione.
Come era da prevedersi, venuto il giorno indetto per gli scrutini, tra i dieci nomi degli abilitati usciti dal Bussolo, quello del Marullo raccolse i maggiori suffragi, ed il Protonotaro del Regno lo incluse nella quaterna dei Giurati in Sedia. In tale onorifica carica fu confermato per molti anni, e, per il favore e la benevolenza della Spagna di cui godeva, resse quasi fino alla vigilia della sua morte le redini della cosa pubblica, e fu il personaggio più autorevole di Milazzo, pullulante in quegli anni di truppe spagnole, di funzionari, di alte personalità che da ogni parte ivi si radunavano per preparare e lanciare la offensiva contro Messina venuta in mano dei rivoluzionari.
Se tali preminenze ed onori dovettero evidentemente riuscire assai graditi al mio antenato, il fatto di esser egli obbligato a lasciare la legale cittadinanza messinese, che fino ad allora aveva voluto conservare, dove certamente contristarlo e non poco. Ma d’altra parte il Privilegio di Don Giovanni d’Au-stria del 1649 era chiaro e non lasciava alcun dubbio sull’obbligo che i Giurati e gli Ufficiali Superiori di Milazzo avevano di abitare in quella città e precisamente nella parte di essa che
veniva chiamata “murata”. In forza del detto Privilegio egli non poteva rimanere cittadino messinese e contemporaneamente esercitare in Milazzo le cariche di Giurato e di Capitano di Giustizia.
Per qualche anno ancora tale situazione incompatibile si protrasse, e difatti nel 1659 gli venne rilasciata l’ultima Declaratoria di Nobile Messinese dal Senato Peloritano. Poi, cancellato dai ruoli anagrafici della città dei suoi padri, prese legalmente la cittadinanza milazzese. I suoi beni ereditati dagli avi, che possedeva in Messina, gli furono confiscati per non aver ottemperato alla intimazione di abitare entro le mura peloritane. Egli morì in Milazzo il 2 giugno 1675 di 66 anni, e fu sepolto nella Chiesa di San Francesco di Paola.
Dai suoi due matrimoni nacquero: dal primo Giovanni, come ho avanti accennato, e dal secondo Antonino e Ferdi-
nando. Il patrimonio della casata subì quindi una prima divisione in tre parti. Giovanni ebbe in prevalenza i cespiti posti nei territori di Castroreale e Santa Lucia del Mela, e solo qualcuno nella Piana milazzese, oltre la casa di abitazione in Milazzo. Ad Antonino e a Ferdinando tocco tutto il resto dei beni che formavano l’asse ereditario paterno. Portò questa prima divisione una notevole diminuzione della potenzialità economica della famiglia; tuttavia i tre fratelli, se non ricchi, come lo era stato il padre, rimasero agiati.
Giovanni sposo il 10 agosto 1664, nella Chiesa di Santa Maria Maggiore in Milazzo, Diana Anna Micali di Giovanbattista.
I capitoli di questo matrimonio furono registrati agli atti del Notar Vincenzo Calcagno di Milazzo in data 8 gennaio 1664.
Nulla so sulla famiglia di questa sposa, ma ritengo che essa abbia appartenuto a casata di commercianti messinesi.
Antonino Marullo e d’Alarcon sposò il 2 gennaio 1676 Chiara Beltran di Andrea.
Era costei nipote di Don Diego Beltran, alto ufficiale spagnolo, comandante in quel tempo di Santa Lucia del Mela col grado di Sergente Maggiore, che equivaleva a quello odierno


di Tenente Colonnello. Del terzo fratello, Ferdinando, non ho alcuna notizia per cui ritengo che non abbia avuta discendenza, e che alla sua morte la quota di beni pervenutagli dalla eredità paterna sia andata al fratello Antonino o ai suoi eredi.
I tre fratelli suddetti vissero sempre in buona armonia tra loro, e seguirono in Milazzo la politica del padre che fu quella di fedele attaccamento alla causa spagnola; lo prova il fatto che durante la rivoluzione del 1674-78, mentre tutti gli altri membri della famiglia erano, in Messina, alla testa dei movimenti insurrezionali tendenti alla cacciata degli spagnoli dall’Isola, essi fratelli non esitarono a prendere le armi a sostegno della Corona Absburgica. Infatti il 22 agosto 1677 un corpo di cavalleria francese e messinese si venne ad accampare nella Piana di Milazzo nella contrada detta del Parco, ove era una proprietà dei fratelli de Gregorio nobili di Messina, e partigiani della fazione dei Malvizzi. Accostatesi poi queste truppe alla porta detta di Messina, cercarono di espugnarla. Ne era a guardia un piccolo presidio di milizie milazzesi comandate da Giovanni Marullo, e ne facevano parte alcuni nobili del luogo tra i quali Scipione d’Alarcon, Giovanni, Paolo ed Onofrio Ventimiglia e Guerrera, e i fratelli Antonino e Ferdinando Marullo ed Alarcon. Malgrado che il loro numero fosse sparuto, i milazzesi seppero resistere valorosamente agli assalti delle truppe franco-messinesi, le quali, benché fossero appoggiate da ventuno galere francesi pronte a sbarcare truppe, vista uscire dalla stessa porta di Messina la cavalleria spagnola numerosa e bene armata, si ritirarono verso il Parco e quindi ritornarono a Messina mentre le navi francesi riprendevano il largo rinunziando
all’impresa.
Prima di chiudere la narrazione degli avvenimenti che riguardano la politica del governo spagnolo in Milazzo, credo opportuno riportare il testo integrale del Privilegio del 1649 con cui venne istituita la prima Mastra Giuratoria milazzese:
 


La Mastra Giuratoria di Milazzo del 1649
<<Philippus. D. loannes ab Austria Vicerex, universis et sin-
<<gulis ufficialibus Civitatis Milae presentibus et futuris, cui vel
<<quibus ipsorum presentes et presentate fuerint, dilectis salu-
<<tern. Desiderando noi il bene pubblico e quieto vivere di con-
<<testa Città, per l’accerto futuro di buona elezione degli uffi-
<<ciali di essa, ne ha parso dar modo e forma con la quale, per
<<il tempo da venire si avessero da far la nomina a scrutinio del-
<<li Giurati di questa Città, per il che vi ordiniamo che, nella
<<concorrenza di Giurati. abbiano da concorrere cinquanta sog-
<<getti virtuosi, degni, ed atti per detto officio di Giurati, quali
<<si averanno da appizzare nel Casserizio, e nel giorno della Fe-
<<stività della Santissima Annunziata si averà da fare la nomi-
<<na a scrutinio di dieci persone, delle quali, per noi e nostri
<<successori, se ne avranno da eligere quattro, e quelli ave-
<<ranno da esercitare l’officio di Giurati per spazio d’anni uno,
<<piglianti la possesione nel primo di maggio di ogni anno, e
<<questo per farsi in tempo più apportuno le provvisioni di vet-
<<tovaglie della Città.
<<E per più soddisfazione universale, n’è parso ancora ordi-
<<nare che si eligessero altre centocinquanta Persone, cittadine
<<d’essa Città, Capi di casa, quali, unitamente con il cinquanta
<<concorrenti, che tutti ascendono al numero di duecento, fosse-
<<ro stabiliti a fare detta Nomina o scrutinio, dei quali duecento
<<persone, si averanno da fare duecento polize, e quelle poste in
<<un berrettone, se n’averanno da estraere a sorte trentasei ag-
<<giunti, per un Figliolo deputando dai Delegati, quali aggiunti
<<daranno la voce all’indetti cinquanta concorrenti, o al si o al
<<no, conforme si costuma in altre parti, e quelli dieci delli cin-
<<quanta concorrenti che averanno più voci degli altri, quelli
<<resteranno abilitati per lo scrutinio che si avera da fare, e nel
<<caso che saranno di pan voce, si estraheranno a sorte, e detti
<<dieci poi del Spettabile Protonotaro del Regno, per dopo farsi
<<L’eleziane delli detti Giurati, li quali nelle occorrenze averan-
<<no da vacare il triennio, canforme alli Capitoli del Regno.
<<E per tal’effetto, ogni anno anticipatamente si eligerà il
<<nostro Delegato, per via del detto Protonotaro del Regno, il
<<quale Delegato, insieme con i Giurati, assisterà a detta crea-
<<zione, valendosi dell’Archiprete, con l’intervento del Priore di
<<San Domenico in un anno, e nell’altro anno del Guardiano di
<<San Papina, intervenendo anco un altro religioso Sacerdote,
<<ben visto al Delegato, purché sia Forestiero, quali assisteranno
<<al Caserizzo. Ordiniamo similmente che tutte quelle perso-
<<ne che sono state e sono al presente di prosecuzioni gravi, che
<<per Leggi e Prammatiche vengono proibite a poter esercitare
<<offici, non debbano concorrere. E più, tutte quelle persone De-
<<bitrici della Città di debiti correnti, tanto per causa di gabelle,
<<candanne fatte dalli Mastri Giurati,o di altri Ministri, quanto
<<di debito per qualsiasi causa, etiam per sommissa persona,
<<tanto principali ed in solicium obbligati, quanta per leggi, non
<<passono detti tali concorrere né appizzarsi al Caxarizzo, con
<<tuttoché avessero dilazioni di detti Debiti, e con l’istesso s’in-
<<tende per li Gabellati in atto, e quelli che hanno obbligazioni
<<di frumento a altra sorte di vittovaglie con la Città, o anche
<<quelli che non hanno l’età di ventidue anni campiti, in canto
<<alcuno non debbano concorrere et essere appizzati al Caxa-
<<rizzo.
<<E parimenti si concede facoltà di fare detta nomina di
<<dieci soggetti come di sopra, e che da Noi e nostri Successori
<<non Si farà altra elezione, se non da quattro persane delli detti
<<dieci nominati e scrutinati, alli quali eletti sempre li Giurati
<<presenti avranno da dare la possessione, e non ad altra offi-
<<ciale, e qualsiasi eletta fora nomina mai averà da avere pos-
<<sesso di detta officio, et in caso di morte a remotione delli
<<Giurati, si abbia da eligere dal Nostro Viceré Successore uno
<<delli dieci nominati. E similmente, nel caso di morte o di man-
<<camento delli cinquanta concurrenti, ordiniamo che il Giurati presenti,

<<insieme con gli altri del numero delli detti cin-
<<quanta concorrenti, abbiano da proporre a Noi, per via di det-
<<to ufficio di Protonotaro, tre soggetti benemeriti e più degni
<<dei quali da noi se ne eliggerà uno, e quello subentrare nel
<<luogo del mancante, e morendo o mancando persona del nu-
<<mero dei centocinquanta di quelli che donano voci, ordiniamo
<<che li Giurati presenti, con li trentasei aggiunti, quali nella
<<prossima elezione han da dare voto, quelli unitamente propo-
<<neranno tre soggetti benemeriti e più degni, per farsi da Noi
<<l’elezione, come sopra, facendosi le suddette nominazioni del-
<<le suddette persone per bussolo secreto, restando per nominare
<<li tre soggetti.
<<E per più facilitare la esecuzione del suddetto ordine No-
<<stro, mi è parso dichiarare li cinquanta concurrenti ad offici,
<<e sono gli infrascritti, cioé:


  • Don Francesco Marullo
    Vincenzo Rizzo
    Francesco d’Anselmo
    Francesco Catanzaro
    Giuseppe d’Amico
    Filippo d’Amico
    D. Nicola Romano
    Diego Baeli
    D. Antonio Oliveri
    Placido Tarantello
    D. Giuseppe Romano
    Domenico Cartia
    Francesco Lombardo
    Stefano Navarro
    Diego Galindo
    Marco Antonio Giunta
    Giuseppe Perdichizzi
    Dott. Paolo Siragusa
    Diego Di Marco
    Giuseppe Leonti
    D. Ferdinanclo De Alarcon
    Francesco Majolino
    Lorenzo Sarati
    Dott. Nicola Bettoni
    Dott. Angelo Costanzo
    D. Andrea Romano
    Giuseppe Baeli
    Onofrio Villano
    Francesco Lazzari
    Diego Lucifero
    Francesco Lucifero
    D. Giovanni De Godoi
    D. Diego Orioles
    D. Antonio Busacca
    D. Antonino d’Amico
    D. Ottavio Trovato
    D. Giuseppe Abati
    Ventura Tappia
    Geronimo Lombardo
    Giacinto Marziano
    Antonino Zirilli
    Giovan Giacomo d’Amico
    Onofrio Silvano
    Antonino Tripoli
    Giovan Battista Catanzaro
    Paolo Proto


<<Ordiniamo che anche li Giurati eletti abbiano da habi-
<<tare nella Città Murata conforme all’ordine da Noi e nostri
<<predecessori fatti, ed in quanto alli concurrenti alli uffici, ed
<<altri che donano voci, potranno habitare in qualsiasi luogo,
<<tanto dentro quanto fuori di detta Città Murata, e anco che
<<l’elezione del Capitano, Giudice, ed altri ufficiali di cotesta
<<Città, resti per farsi da Noi e nostri successori, per l’ufficio di
<<detto Spettabile Proconservatore del regno,nella forma soli-
<<ta, con farsi il solito scrutinio, acciò nel primo di settembre
<<di ogni anno prendano la loro solita possessione.
<<Pertanto, per le presenti, vi diciamo, ordiniamo e coman-
<<diamo che ad unguem eseguiate e facciate, perché si deve ese-
<<guire ed osservare il preinserto nostro Privilegio, de verbo ad
<<verbum justa sui seriam continenetiam. et tenorem, e vogliamo
<<che ognuno in perpetuum abbia da eseguire ed osservare, sen-
<<za mai farsi il contrario, il tutto per servigio di Sua Maestà,
<<e per quanto cara vi è la grazia Sua, e sotto pena di onze 200
<<per ognuno dei trasgressori, da applicarsi al Regio Fisco.
<<Datum Messane die sesto Novembris 1649. D. IUAN.
<<Serenissimus Dominus D. loannes ab Austria, Vicerex et
<<Generalis Capitaneus mandavit mihi Christi Plato. Papè Pro-
<<tonotarius, Petrus Battaglia Coadjutor, Conservetur in actis,
<<Registretur per Archivarium in Libro Thesauri Privilegiorum.
<<AMICO Senatore, MARULLO Senatore, CUMBO Senatore,
<<PROTO Senatore.
<<Die vigosima quinta mensis martii, 5 ind. 1727. D. Vin-
<<centius Scarpaci Pro Magister Notarius>>

La discendenza primogenita di Don Francesco Marullo e Parra.

Tornando ad esporre, dopo questa breve parentesi, le vicende della discendenza di Francesco Marullo e Parra, discendenza originata dal suo doppio matrimonio, come nelle pagine
precedenti ho fatto parola, dagli atti che ho in mio possesso risulta che dal matrimonio di Giovanni Marullo con Diana Micali nacque Francesco il quale fu battezzato nel Duomo di Milazzo il
18 maggio 1667, come da fede rilasciatami si rileva. Ho anche in precedenza accennato che a Giovanni toccarono come quota ereditaria del patrimonio paterno tutti i beni posti nel territodi Castroreale, compresa una bella casa in quel centro, casa che proveniva dalla eredità di Giacomo ed Antonella Calamoneri.
Giovanni quindi, per il fatto di dover accudire alla amministrazione dei cespiti nella zona castrense, passava buona parte dell’anno coi suoi familiari in quella antica e nobile Città, pur conservando il domicilio legale in Milazzo, ove era ascritto alla Mastra Giuratoria.
In Castroreale il figlio Francesco nel settembre del 1688 sposò Donna Giuseppa Colonna Romano appartenente ad uno dei rami della storica Casa papale, ramo venuto in Sicilia fin dalla metà del ‘200, e quivi resosi chiarissimo come appare dalle relazioni dei più noti storici e genealogisti.
Dal matrimonio Marullo-Colonna nacque in Castroreale nel 1693 un figlio a cui fu imposto il nome di Giovanni. Non poté, purtroppo la madre avere la gioia di veder crescere questo suo figlioletto perché, subito dopo averlo messo al mondo, passò a miglior vita.
Nel 1706 Don Francesco celebrò altro matrimonio con Maria de Godoy appartenente a nobile famiglia spagnola, e ciò nel Duomo di Milazzo il giorno 10 aprile, come si rileva dalla fede parrocchiale. Da queste nozze nacque Fortunato Marullo e de Godoy, e di questi mi occuperò tra breve.
Giovanni Marullo e Colonna Romano sposò in Castroreale nel 1737 la cugina Giovanna Colonna. I capitoli di tali nozze furono stipulati dal notar Giuseppe Maria Zangla di Castroreale in data 29 giugno 1737.
Queste due alleanze dei Marullo coi Colonna, divenuti Baroni di Centineo per successione di Casa Muscianisi, aumentarono sensibilmente la posizione economica dalla linea di cui ci stiamo occupando. Michele, figlio dei coniugi, Giovanni e Giovanna Marullo e Colonna, fu un ricco proprietario terriero.
Egli abitò in Castroreale e in Barcellona, e nelle vicinanze di quest’ultimo centro, precisamente nella borgata detta San’Antonio possedette estese tenute agricole e una chiesetta di jus patronatus sul cui prospetto si vedevano scolpite le armi dei Marullo. Michele suddetto sposò in Castroreale Giuseppa Patti Lazzari nel 1801. Malauguratamente, dopo qualche generazione, la prosperità economica di questa casata andò a declinare.
Vivono oggi in Barcellona i rappresentanti di questa linea.
Reputo ora utile fare un breve cenno sui Colonna Romano di Centineo.
Questo ramo di casa Colonna discende da Bartolomeo che fu Senatore Nobile di Messina nel 1555-56. Il nipote, Bartolomeo II, sposò nel 1627 Antonia Longo e Del Pozzo da Castroreale (Capit. Matr. Not. Sisa di Castroreale 27 aprile 1627). Fu figlio di questi coniugi Paolo, che si stabili nella città della madre per accudire ai beni da lei ereditati. Egli sposò nel 1664 Agata De Gregorio (Capit. Matr. Notar Giuseppe Zangla 26 febbraio 1664). Nacquero da questi coniugi fra, gli altri figli, An-
drea, che sposò Maria Alberti e Cutrupia in Castroreale (Capit. Matr. Not. Millemaci 21-1-1703), e Giuseppa sposata con Francesco Marullo e Micali nel 1688, come si è detto.
Dal matrimonio di Andrea con Maria Alberti e Cutrupia nacquero: Paolo, sacerdote, Mariano sposato con Francesca Lazzari, e Giovanna sposata, come ho fatto noto, col cugino Giovanni Marullo e Colonna Romano, di Francesco e di Giuseppa Colonna.
Questa illustre casata Colonna si estinse nella prima metà del secolo scorso, ed i suoi beni passarono per il matrimonio di Letteria, ultima intestataria della Baronia di Centineo, nella famiglia Gaetani dell’Aquila d’Aragona dei Duchi di Laurenzana, patrizia napoletana.
Fortunato Marullo e de Godoy trascorse anche lui, in massima parte, come il padre Francesco, la sua esistenza in Castroreale, pur conservando la cittadinanza milazzese e la iscrizione in quella Mastra Giurataria. Egli sposò nel 1742, in Milazzo, Francesca Coppolino figlia del U. J. D. Don Francesco,

Giudice delle Appellazioni, e iscritto nella Mastra castrense.
Questo matrimonio si celebro in Milazzo perché la famiglia della sposa colà risiedeva per il disimpegno della magistratura a cui era stato assunto il Giudice Don Francesco. Mon dopo al-
cuni anni di matrimonio Donna Francesca, ed il vedovo Don Fortunato nel 1765 passò a seconde nozze in Castroreale con Donna Francesca Maimone, figlia del Dottor Francesco.
Anche questa casata Maimone la trovo iscritta nella Mastra Giuratonia castrense nelle persone del padre e dei fratelli di Donna Francesca, ma tale Mastra non può considerarsi Nobile perchè non è altro che un notamento degli Ottimati indigeni, e pertanto valgano per essa famiglia e per la Coppolino le considerazioni e le conclusioni da me rese note nelle pagine precedenti trattando della Mastra Giuratonia di Milazzo. Morì Don Fortunato in Castroreale nella sua casa in quel centro nel
1783, di anni 76. Fu suo figlio Francesco, natogli dal primo matrimonio con la Coppolino. Non mi risulta che dal secondo matrimonio contratto con la Maimone vi sia stata discendenza.
Francesco Marullo e Coppolino, dopo la monte del padre Fontunato, riportò la stabile dimona della sua famiglia in Mi-
lazzo, lasciando quella di Castroreale.
Tale trasferimento, che divenne poi definitivo per i discendenti della sua linea, fu causato, in massima parte, dal matrimonio da lui contratto nel 1760 con Anna Muscianisi e di Marco. Della nobilità di questa casata ho fatto cenno nelle pagine precedenti. Dirò solo che il ramo primogenito di essa si spense con Angela Muscianisi e Del Pozzo sposata con Cesare Avarna conte di Castroello. Non avendo questi sposi avuto discendenza, Angela, alla sua monte, chiamò alla successione del-
la Baronia di Centineo i suoi cugini Colonna Romano e Del Pozzo, di cui ho fatto parola. La linea di Casa Muscianisi di Milazzo ultragenita di quella che fu intestataria della Baronia di Centineo. Andrea Muscianisi e di Marco fu fratello di Anna suddetta, e stipite della omonima casata oggi fiorente in Milazzo. Fu Donna Anna erede degli zii materni Di Marco, a tale ingente eredità aumentò sensibilmente la consistenza economica della nostra famiglia che si trovò di bel nuovo in
primissima linea tra quelle che ebbero larghezza di mezzi finanziari. In seguito, però, con la abolizione del majorasco, e con le leggi relative alla successione ereditaria, questa fortuna
familiare, divisa e suddivisa tra tanti rampolli, rimase quasi polverizzata, e diede luogo a vari mutamenti di posizioni economiche dei discendenti degli avi Marullo-Muscianisi.
Essendo ora pervenuto con la esposizione di queste vicende familiari alla fine del ‘700, termine già prefissomi nello imprenre la compilazione e la pubblicazione di queste Memorie, non proseguo oltre, lasciando che altri dopo di me possa imparzialmente continuare questo lavoro. Solo credo utile segnalare al futuro compilatore dello aggiornamento di questa genealogia seguenti nomi di alcuni membri della nostra famiglia che nel secolo scorso per le loro benemerenze civili e patriottiche meritano di essere ricordati:


DON ANTONINO MARULLO E MUSCIANISI, vissuto dalla fine del ‘100 alla prima metà del secolo successivo, fu un gentiluomo dotato di grande intelligenza ed assai versato nelle di-
scipline giuridiche. Esperto amministratore, venne chiamato in età giovanile a reggere le sorti del Comune come Sindaco, e rimase in tale carica per lunghi anni. Morì tra il generale rimpianto.


L’ABATE DON LUDOVICO MARULLO E PROTO, dedicò
tutta la sua esistenza alla costruzione delle opere necessarie alla sicurezza del Porto di Milazzo sui cui moli fece sorgere quegli ampi magazzini che fino ad oggi testimoniano la grande attività costruttrice del benemerito Prelato.


DON GIOACCHINO MARULLO E CUMBO. fu un coltissimo gentiluomo ed un savio amministratore. Come Sindaco come Assessore egli si interessò molto proficuamente della amministrazione comunale di Milazzo per moltissimi anni. Presiedé egregiamente i comitati di beneficenza cittadini.

DON TOMMASO MARULLO E PROTO, ancor giovinetto si votò alla causa della Liberta e della Indipendenza della Patria.
Fu uno dei MILLE e segui Garibaldi in tutte le leggendarie azioni di guerra che formarono la gloriosa epopea garibaldina.

DON ANTONINO MARULLO E d’AMICO, mio Padre, fu fervente patriotta e cospiratore in Napoli per abbattere il governo borbonico. Discepolo dei sommi che prepararono ed effettuarono il Risorgimento Nazionale, fu arrestato in Napoli e rimase qualche tempo in quelle carceri. Liberato per intercessione del Primo Ministro Cassisi, suo parente, fu inviato in esilio e poi confinato in Milazzo con la assoluta proibizione di tornare nella sua prediletta Napoli. Dotato di vasta cultura, scrittore forbito, lasciò molti suoi scritti pregevoli, quasi tutti inediti, che andarono dopo la sua morte dispersi per fatalità di eventi. Fu varie volte Sindaco di Milazzo e Deputato al Consigliere Provinciale.
Ciò che maggiormente lo distinse e lo rese oggetto di grande considerazione fu la rara dirittura del suo carattere accompagnata da eccezionale modestia. Mon in Milazzo nel dicembre del 1931 alla età di 98 anni.

La discendenza secondogenita di Don Francesco Marullo e Parra
Venendo ora ad occuparmi di questa linea, originata dal secondo matrimonio di Francesco Marullo e Parra, matrimonio di cui ho ampiamente trattato nelle pagine precedenti, richiamo alla memoria del Lettore il fatto da me esposto cioè di essere a tale discendenza toccati, nella divisione dell’asse ereditaria paterno,

tutti i beni posti nella Piana di Milazzo, beni che erano molto importanti se non per vastità ma certamente per produttività. Ho anche sopra accennato che Antonino Marullo e d’Alarcon sposò la gentildonna Chiara Beltran e Pons de Leon.
Da tali nozze vide la luce Andrea, che fu battezzato nel Duomo milazzese il 25 luglio 1686. Sposò costui il 10 novembre 1705 la nobile Antonia Lucifero e Cumbo. Della nobiltà di queste due
casate ho già fatto parola in precedenza.
Andrea suddetto mon nel 1752, e fu sepolto nella Chiesa del Rosanio. Suo figlio Salvatore Marullo e Lucifero sposò a sua volta in Milazzo il 19 ottobre 1734 nella chiesa di Santa Maria Maggiore la cugina Giovanna Passalacqua e Lucifero. Egli mori in Milazzo nel 1787 e fu inumato nella Chiesa di San Domenico.
Dal matrimonio Marullo-Passalacqua nacquero Andrea e Remigio. Il primo di questi due fratelli celebrò sue nozze con la nobilissima Maria Ventimiglia e Bellaroto di Don Tommaso il 31 dicembre 1778 nella Chiesa di Santa Maria Maggiore. Egli passò a miglior vita in Milazzo nella sua abitazione di via San Giacomo il 24 giugno 1828. Da questa notizia si rileva che la casa di via San Giacomo, oggi degli eredi Dott. Cambria, fu abitazione di questa linea dei Marullo fin dagli ultimi decenni del
91700. Di Don Andrea Marullo suddetto farò menzione tra breve.
Dalla fine del ‘600 a tutto il secolo seguente, il ‘700, i Marullo d’Alarcon vissero stabilmente in Milazzo con lustro e decoro, delle rendite dei propri beni, ricoprendo le più alte ed onorifiche cariche municipali, contraendo nobili alleanze matrimoniali.
E’ inutile che qui mi dilunghi a trattare della nobiltà dei Lucifero e dei Ventimiglia perché tali casate sono abbastanza note per le loro chiarissime qualità nobiliari.
Per quanto riguarda i Passalacqua dirò solo che, quantunque si affermi trattarsi di un ramo della omonima famiglia patrizia cosentina, io non ho gli elementi per poter affermare questa consanguineità.Mi risulta solamente che trovasi iscritto Don Domenico Passalacqua nella Mastra Giuratoria milazzese, e ho anche notizia che la Consulta Araldica del Regno d’Italia riconobbe a questa casata il titolo generico di Nobile con trasmissibilità.
Mi intrattengo ora brevemente sulle iniziative nobiliari di Don Andrea Marullo e Passalacqua.
Nel 1778, come ho sopra accennato, egli aveva sposato Donna Maria Ventimiglia e Ballaroto, e da tale matrimonio erano nati vari figli tra i quali nel 1778 Salvatore. Verso il 1796, avendo Don Andrea pendente una importantissima lite davanti la Gran Corte Civile di Messina, credette opportuno, per poter meglio seguire gli sviluppi della causa, venire ad abitare nella città zanclea ove non gli tu difficile trovare una casa tra le tante che sorgevano in quel periodo sotto gli auspici del Governo Borbonico, il quale si era impegnato di ricostruire la città distrutta pochi anni avanti dal terremoto del 1783.
Si ricostruiva Messina non solo nella parte edilizia con le case, le piazze, le strade, seguendo un ben appropriato nuovo piano regolatore, ma anche si riordinava la vita sociale, economica, culturale. Si rimettevano in ordine le corporazioni delle vane attività di lavoro, quelle del braccio e quelle della mente;
Si ricostituivano le classi sociali nella città che si andava a mano a mano ripopolando non solo dei vecchi messinesi, che ritornavano amorevolmente come figli alla madre, ma anche e dippiù di nuove correnti di immigrazione che venivano dalle provincie siciliane, dalle Calabrie ed anche dall’estero, attirate da tutte quelle larghezze, franchigie provvidenze, aiuti di ogni genere che Ferdinando di Borbone aveva con leggi speciali elargito al fine di far rivivere e rifiorire la bella Regina del Peloro tanto duramente perseguitata dalla sventura.
Nel 1798, per iniziativa del Marchese Letterio de Gregorio e del Cavaliere Salesio Mannamo, Si diede inizio alla compilazione della nuova Mastra Nobile con la reintegra delle famiglie che erano annotate negli antichi elenchi, andati dispersi, e con la aggregazione di nuove casate. Don Andrea Marullo non tardò a presentare la sua domanda di reintegra, documentandola con validissimi atti legali mediante i quali provò che la linea di Casa Marullo trasferitasi da un secolo e mezzo a Milazzo, non solo era direttamente discendente dallo antichissimo ceppo dei Conti di Condojanni, ma per La estinzione di tutte le altre linee messinesi e palermitane della famiglia, ne era divenuta La vera ed autentica rappresentante. Accluse al Processo, oltre I documenti genealogici comprovanti grado per grado la sua linea ascendentale fino a raggiungere l’attacco col ceppo principale, quattro Declaratorie di Nobi1tà rilasciate dal Senato di Messina a favore di Giovanni Marullo e Miano e del figlio Francesco Marullo e Parra, segnate con le seguenti date: 26 e 28 novembre 1620, 27 agosto 1650 e 21 febbraio 1659. Il Senato Peloritano, dopo di aver molto accuratamente esaminato il Processo, e dietro il parere favorevole dell’Assessore Oridinario, in data 16 marzo 1801 emise il seguente Decreto di Reintegra:

<<Isti Don Andreas quondam D. Salvatoris Marullo, eiusque
<<filius D. Salvatoris declarentur descendere a quondam Don
<<Petro Marullo, fratre D. Thomae Comitis Condoiannis et Au-
<<gustae, Baronis Calatabiani et pluries Statigoti in hac Urbe
<<Messanae, nec non a quondam D. Hieronimo Marullo filio dicti
<<D. Petri, et a quondam D. Johannes Marullo filio dicti quondam
<<D. Hieronimi, omnibus patritiis Messanensibus, quibus decla-
<<ratis iste D. andreas stante Renunciatione iam per eodem sti-
<<pulata civitatis Mylarum, ubi natus est, et iste D. Salvator
<<stante statuto domicilio in hac praedicta Urbe, declarentur No-
<<bilis Messanensis, et annoteatur in Albo Nobilium, videlicet
<<dictus Don Andreas ab odie in antea, dictus D. Salvator po-
<<stquam allinxerat annum vigesimum quintum suae actatis,
<<et expediatur in forma etc. etc..
FILINGERI, LQFFREDA, DE GREGORIO, SPADARO,

<<SANTI, F. MARINO Assessor Ordinarius, SALESIUS MANNA-
<<MO REGIUS MAGISTER NOTARIUS >>
Dopo questo giusto riconoscimento Don Salvatore Marullo, essendosi domiciliato in Messina per aver contratto matrimonio con Donna Lavinia Marchese e Denti, entrò a far parte come Confrate nelle Arciconfraternite degli Azzurri e dei Bianchi della Pace, nella quali sali poscia alla carica di Governatore. I suoi figli e nipoti ebbero la Croce di Onore e Devozione del S. M. O. di Malta, e seppero con il loro comportamento di autentici gentiluomini, e con il signorile tenore della loro vita guadagnarsi la generale estimazione ed ascendere alle più alte ed onorifiche cariche.
Di questo ramo della famiglia, trasferitosi come si è detto, alla fine del ‘700 in Messina, vanno ricordati i seguenti personaggi che nel passato secolo e primi decenni del corrente si re
sero benemeriti ed illustrarono la casata.

DON SALVATORE MARULLO E CUMBO, autentico gentiluomo di stampo antico, fu vane volte e per molti anni Sindaco di Messina. Oculato amministratore, salì al Governatorato delle Arciconfraternite degli Azzurri e dei Bianchi della Pace

di Messina. Fu Principe di Castellaci maritali nomine come marito di Donna Anna Balsamo intestataria di tale titolo. Fu Cavaliere di Giustizia del S. 0. di Malta (senza voti). Presidente
del Circolo della Borsa e di altri Clubs cittadini, fu senza dubbio una delle figure più spiccate della aristocrazia peloritana.

DON FRANCESCO MARULLO E BALSAMO, Principe di Castellaci, figlio del precedente, fu anche lui un autentico gentiluomo. Ebbe carattere mite e modi assai gentili. Amò La cultura, e la sua prediletta occupazione fu lo studio. Mon nel terremoto di Messina del 1908 senza lasciar discendenza.

Voti e speranze
Nel chiudere questa rievocazione di vicende familiari mi sembra opportuno sottolineare che, nato nel luglio del 1881 nella gentile e patriottica Milazzo, io, fin dalla mia prima fanciullezza mi son sentito particolarmente attratto verso questa bella ed illustre città del Faro. Era per me motivo di
grande gioia potervi, ancora bambino, venire con mio Padre che vi faceva frequenti e lunghe dimore. Poi la mia famiglia si stabili in Roma, ove rimanemmo oltre un decennio. Ai primi del corrente secolo, in seguito alla morte della mia amatissima sorella Maria, giovinetta appena quindicenne, perdita che addolorò moltissimo la santa memoria di mia Madre, tornammo in Sicilia lasciando con grande pena La Capitale e la nostra bella casa romana di via Milano Dopo qualche anno, trascorso tra Milazzo e Messina, fissai La mia residenza in Palermo e vi rimasi per alcuni lustri fino al giorno in cui venni a stabilirmi quì definitivamente malgrado che la città, da pochi anni devastata dal terremoto del 1908, fosse ancora formata in massima parte da agglomerati di baracche di legno. e la vita trascorresse tutt’altro che facile e lieta in mezzo a tante rovine. E da un qua Rantennio dimoro in questa cara Messina che oggi vedo con  soddisfazione quasi ricostruita, augurando con sincero cuore che questo suo progressivo sviluppo continui sempre con ritmo accelerato e senza mai conoscer soste fino a quando le consentirà di riprendere il suo pasta nel rango delle più belle, civili e fiorenti città italiane.
Ai nostri tempi 1’Araldica e la Genealogia non sono, come molti erroneamente ritengano, discipline atte solo ad incrementare e stimolare la vanita umana. ma esse scienze invece, oltre ad essere di complemento alla Storia, danno un notevole e benefico apporto nel campo sociale in quanto determinano in cobra che hanno conoscenza di un luminoso, a semplicemente onorato, passato della propria famiglia, il senso di responsabilità, a dover continuare e trasmettere quanta di
nobile, e di degno hanno ricevuto dagli avi. E pertanto esprima la fondata speranza che questa mia lavoro non sia stato compilata e divulgata invano, auspicando che non solo i miei figli Vittorio e Maria e mio nipote Carlo, ma che anche tutti cobra che sona della nostra stirpe e nostri consanguinei vicini e lontani per linea e per grado, vogliano e sappiano portare nella loro vita questa nostro nome con la stessa onestà, bontà, dignità, operosità costruttiva e spirito cavalleresco con cui i nastri antenati lo onorarono e lo resero chiaro, amato e rispettatto

 

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