3. Il millennio della ratio. La razionalità dell'intervento:
si vis pacem, para bellum. L'obbiettivo è la pace.
Il mezzo è dettato dal tempo
E' troppo chiaro che ciò che mi
salva non è la mia cultura, ma il tentativo di uniformare
il mio comportamento a quanto mi detta la legge divina scritta
nel mio cuore, ma per un uomo che ha dedicato tutta la sua
vita agli studi ed alla ricerca, non si può fare a
meno di dare risalto ed intendere il significato ed il valore
degli studi stessi. Quando poi si tenta di compiere un esame
critico di un intero millennio che si va a concludere, si
è portati, in modo spontaneo, a ricercare quella che
possa essere detta e considerata come la caratterizzazione
di tutto quel tempo trascorso. Se quindi possiamo intendere
il primo millennio, come il millennio della Fede, intendendo
che in un primo tempo si è vissuto con maggior profondità
ed impegno il fatto nuovo dell'Incarnazione, che ha rappresentato,
ovviamente, un cambiamento totale di prospettiva, senza voler
dire che in seguito la Fede si fosse affievolita, si deve
facilmente riconoscere che il secondo millennio è stato
l'era della ratio e dell'Università che ha segnato
profondamente il modo di comprendere i rapporti fra gli uomini
e che ha portato a manifestazioni che se da una parte inorgogliscono
l'uomo per quanto è riuscito a realizzare, dall'altra
mettono anche in evidenza che l'antica superbia dell'uomo
può essere o tornare ad essere il pericolo principale
del vivere umano.
E' stato detto che nell'alto medioevo
si è avuto il risveglio della coscienza (9),
cosa certamente favorita dalla riflessione e dagli studi che
l'esistenza e la costituzione sempre più diffusa di
università ha grandemente favorito. Le figure, come
quelle che voglio ricordare come i tre Pietro - Pietro Abelardo,
Pietro il Venerabile, Pietro Lombardo - sono colonne capaci
effettivamente di reggere il frontone dell'università.
In particolare mi sento soggiogato dalla forza dialettica
di Pietro Abelardo, ma non posso non riconoscere che la grande
sapienza umana deve cedere necessariamente il passo alla sapienza
profetica di chi, senza forse molto sfoggio culturale, riesce
ad intendere più profondamente le cose veramente importanti.
Mi riferisco a Gioacchino da Fiore10, che è, a mio
parere, il colosso che se fosse stato
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seguito avrebbe, forse, consentito
di evitare errori formidabili, come sono quelli dello scisma
della Chiesa d'Oriente dalla Chiesa Cattolica. Va da sé
che lo scisma è la cosa più grave per il cristianesimo,
dovendosi ricordare che il peccato è proprio questa divisione
fra Dio e l'uomo, con tutte le altre conseguenze che seguono
sempre alla rottura dell'unità, che è portata
dalla volontà divina e testimoniata in modo concreto
e reale dall'Incarnazione. Dallo scisma quindi della Chiesa
d'Oriente, poi anche l'eresia protestantica, con la negazione
della causa dell'unità, la presenza del vicario di Gesù,
capo della Chiesa, come si esprime con forza, chiarezza, concisione
l'Unam sanctam di Bonifacio VIII. La successione degli errori
porta poi a negare il valore della diretta osservazione delle
cose, per rifugiarsi entro le linee della ragione più
astratta possibile, determinando il contrasto o la rottura fra
lo stesso pensiero umano, quello umanistico da un a parte e
quello scientifico dall'altro, con la crisi della cultura all'epoca
di G. Galilei, che avvia all'agnosticismo prima e all'ateismo
poi nella vita culturale e sociale.
Si è salutato come segno di progresso
la rottura dell'unità fra filosofia e scienza: nessuno
certamente, non può non riconoscere che i progressi dell'umanità
- basterebbe considerare la coscienza della dignità della
singola persona umana, il valore della libertà e l'unità
dell'umanità - siano conseguenza del progresso scientifico,
che è stato possibile dopo la predetta scissione. Ma
nessuno, meno che mai io, potrebbe ritenere che la divisione
fra aspirazioni profonde dell'uomo e possibilità pratiche
di rispetto delle stesse aspirazioni possa essere cosa salutare
ed ineluttabile. La rottura è dovuta ad un errore e l'errore
va certamente corretto, compiendo se si vuole un lungo, faticoso
lavoro di ricucitura, riannodando i capi che si erano spezzati
o tagliati.
Il progresso delle scienze ha portato in ultimo
al sorgere della scienza dell'uomo, la psicologia, secondo l'impostazione
del messinese Giuseppe Sergi, che per l'appunto l'avrebbe voluta
indicata come antropologia, se tale termine non fosse stato
già utilizzato per intendere e studiare solo l'aspetto
esteriore dell'essere umano(11).
Ma la psicologia, ultima delle scienze, ha messo in crisi il
concetto di scienza come studio del solo aspetto materiale della
realtà, secondo quell'impostazione |