in modo chiaramente distorto, come è avvenuto con
il motto "Dio lo vuole" detto perfino per giustificare
e sollecitare addirittura la guerra, avendo dimenticato l'episodio
ricordato da Marco nel suo Vangelo sull'intervento coraggioso
di Pietro, non accettato da Gesù, nell'orto degli ulivi.
La Verità è Gesù stesso,
che ci vuole uniti a Lui, senza del quale non possiamo realizzare
nulla. Ma una volta che rispettiamo tale unione, indubbiamente
siamo in grado di fare delle cose grandi, solo che non ci
manchi l'audacia. Allora, le due cose, la chiarezza della
Fede e l'audacia della ragione non devono essere messe in
competizione, ma in corrispondenza.
Non si tratta di non utilizzare la ragione,
cosa certamente necessaria, essendo una delle facoltà
dell'uomo, come già esposto, non deve essere ritenuto
un valore farne a meno, ma al contrario, come è nell'incitamento
del Papa, utilizzarla senza limite alcuno, come è proprio
di chi ha l'audacia, cioè la capacità di non
temere, ma di avere fiducia: allora, risulta che l'audacia
della ragione non è cosa solo possibile, ma addirittura
corrisponde al fatto di avere fede. Se si ha Fede si deve
essere, quindi, audaci. Del resto, chi è libero è
audace nell'usare i suoi mezzi, come è nella parabola
dei talenti.
Ora l'audacia della ragione non si manifesta
nel seguire ragionamenti collaudati, nel progredire con l'aiuto
di maestri e di guide sperimentate, ma si ha proprio quando
si percorrono strade nuove, non prima battute, dove altri
non era stato, che non possono essere già tracciate,
in cui non si può fare ricorso all'esperienza ed alla
prudenza di altri. L'audacia della ragione si trova principalmente
nell'attività scientifica, vale a dire in quella attività
che più direttamente e comunemente viene indicata come
attività di ricerca, in quanto si procede verso l'ignoto
e si vuole tentare di portare più avanti la luce della
Fede. Questo procedere audace è proprio dell'uomo di
scienza che sa di potere sbagliare, sa di non potere contare
su altri, che sa di dovere rischiare quanto ha ricevuto e
che può anche perdere, nessuno avendogli fatto assicurazioni
in proposito. La ricerca scientifica è il campo più
chiaro in cui si manifesta più direttamente l'audacia
della ragione, nel senso che deve essere tentato quanto non
|
si è riusciti finora a fare,
perché tutto ci è possibile quando camminiamo
con umiltà e con desiderio di fare il bene. La stessa
fermezza che è richiesta ai coniugi di confidare nell'aiuto
divino nel momento in cui, come ministri della grazia sacramentale,
si accingono a guidare nella libertà la nuova personalità,
è richiesta a chi, pur riconoscendosi capace di errare
e conoscendo i limiti della sua stessa impresa e del suo operare,
non si arresta nel campo del già sperimentato, ma si
avvia per strade completamente nuove, che fanno tremare le vene
ed i polsi. Ci sia consentito di osservare che l'audacia di
cui si parla non riguarda il modo di operare dello scienziato
nei riguardi degli altri, del mondo scientifico, ma si riferisce
a quel coraggio che lo stesso deve avere nel sapere rimuovere
le reticenze sue proprie ed il suo modo di procedere con prudenza
per evitare di trovarsi dinanzi al nuovo che lo potrebbe rendere
incerto sulla bontà del suo stesso operare.
Ci sembra di vedere in questo invito il riconoscimento
del coraggio avuto da G. Galilei nel difendere la sua osservazione
scientifica che, pure, era stata avversata da tanti saggi: nel
momento in cui il grande Galilei, pieno di Fede, riconosceva
e restava fermo sulle sue posizioni di cui aveva le prove, l'audacia
della ragione era un fatto che si confermava nel restare convinto
di avere proceduto secondo il saggio, ma non per questo meno
doloroso, insegnamento cristiano. E' Galilei che resta fermo
ad essere audace, secondo quanto è indicato dalla parresia
della Fede e non Pietro - pur ammirando il suo coraggio nel
palesarsi disposto a pagare di persona per difendere il Maestro
in mezzo ai suoi nemici armati - ad essere audace, rispettando
la validità degli argomenti della ragione.
Certamente il S. Padre ha voluto rivolgersi,
principalmente e direttamente, ai pensatori puri, a coloro che
comunemente vengono ad essere indicati come filosofi, i quali
in questo tempo, in cui la scienza è sovrana ed è
incontrastata, si sentono smarriti e ripiegano su posizioni
deboli e secondarie per evitare lo scontro con i dotti del nostro
tempo, ma questo non vuole dire che l'invito, essendo formulato
in modo ampio ed aperto, non sia rivolto anche agli scienziati,
che proprio perché partono da considerazioni logiche
ed argomentano in modo razionale, sono anch'essi |