Primieramente è utile sia noto a chi legge che le origini di questa
casata ed il suo progressivo ingrandimento non devosi attribuire ne al
possesso di feudi, né a conquista straniera,
bensì ai meriti personali di intelligenza, di sagacia, di opero-sità, di
fedeltà, di coloro che la resero grande col pacifico la-voro, coi
commerci, con le industrie, con l’attività, bancaria, e
col patriottismo.I feudi e i titoli nobiliari, le cariche, le preminenze
ve-nnero poi, alla fine del ‘400 e primi del ‘500, allorquando la
famiglia erasi saldamente affermata e posta su solidissime
basi, e la risonanza del suo nome aveva varcato i limiti angu-sti delle
mura cittadine e si era propagata un pò dappertutto in Italia. Le
attività, che avevano consolidato la alta posizione sociale ed economica
dei Marullo di Messina dal 1280 a tutto il ‘500 furono: 1° la carica di
Maestro della Zecca, che può dirsi ereditaria
perché durata dalla fine del ‘200 a tutto il secolo XVII, 2° l’industria
della seta, 3° la navigazione, 4° la Banca.
La carica di Maestro della Zecca
Da un diploma del re Alfonso I d’Aragona in data 1444
con cui fu concessa a Giovanni Marullo la carica di Conservatore dei Conii della Regia Zecca di Messina per la morte
del di lui fratello Simone che la occupava, si rileva che detto alto impiego, di carattere squisitamente fiduciario, era, fin dallo
inizio della dominazione aragonese in Sicilia, quasi per ininterrotta successione familiare assegnato ai Marullo di Messina.
L’ultimo che lo occupò, di questa casata fu Don Mario, vissuto
alla fine del ‘600 e primi del ‘700.
Egli abitava nello stesso palazzo della Zecca ubicato nella
strada Cardines, poco lontano dalle Quattro Fontane. Era questo un edificio antichissimo con un ingresso monumentale.
Sul frontespizio si vedeva apposta una lapide con
Iscrizione in latino che indicava la data della costruzione e lo scopo cui era
destinata.
Al pianterreno stavano le officine ed i depositi, al primo
piano gli uffici e le abitazioni dei custodi, al secondo erano le
dimore dei due Ufficiali Superiori: il Maestro di Prova ed il
Maestro del Conii.
Il terremoto del 1783 apportò all’edificio gravissimi danni,
e quasi lo distrusse, peraltro la funzione a cui era stato inizialmente destinato era finita da tempo perché la Regia Zecca
aveva cessato di esistere in Messina fin dalla epoca della reazione spagnola ai moti insurrezionali del 1674-78.
Si riporta qui un brevissimo estratto del Diploma del 1444
di cui sopra si è detto:
<<Nos Aiphonsus Del gratia Rex Aragonum, Sicilie Citra ed Ul-
<<tra Farum, Valencie, etc. etc.,..
<<Actendentes ut accepimus officium Magistri Cuneorurn Siccle.
<<nobilis civitatis Messane per obitum Simonis de Merulla
<<illius ultimi possessoris vacare, fuisseque Majestati Nostre
<<humiliter per nonnullos familiares et domesticos nostros sup-
<<plicatum ut nobis nobili viro fideli nobisque dilecto Johanni
<<Merulla civi dicte nobilis civitatis Messane, fratrisque quo-
<<que eiusdem Simonis dictum magistri et factoris cuneorum
<<officium concedere dignaremur, actendentes etiam que non
<<modo dictus quondam frater vester, sed etiam parentes et
<<predecessores vestri et meritis atque servicils peraccettis et
<<laude dignis que prestiterunt nostris antecessoribus Regibus
<<Aragonum Sicibe riobisque etiam illud idem of ficium ex
<<quadam quasi successionis ordine a longissimis temporibus
<<citra, debitis tamen et legitimis intervenientibus concessioni-
<<bus quas vidimus tenuerunt, rexerunt et exercerunt cum om-
<<nium integritate fidei pro nunc antea ad servicia que fate-
<<mur a vobis recipesse grata quidem et accepta debitum re-
<<spectum habentes consilli ad plenum de abilitate, industria
<<et sufficientia ad dictum tenendum et exercendum officium,
<<tenore presentis de certa nostra scientia nobis jam dicto Joan-
<<fili deMerulla civitatis Messane seu factoris cuneorum Siccle
<<dicte nobilis civitatis vacans ut est dictum per mortem dicti
<<Simonis Merulla fratris vestri cum luribus, salariis, honoribus,
<<emolumentis, prerogativis, preheminetiis et pertinentiis uni-
<<versis et singulis cidem officio pertinentibus et debitis conce-
<<dimus ad vestra vite decursum commendamus.
. . . . . . . . .
. . . . . . . . .
<<Datum in Castrinovi Neapolis 16 martil 1444
Rex Alfonsus
La industria della seta
La coltivazione dei gelsi fu portata in Sicilia, secondo notizie di eminenti storici e cronisti, dal re Ruggero normanno.
Per iniziativa di questo savio monarca La maggior parte
delle terre dell’Isola venne coltivata a gelseti. L’allevamento
dei bachi da seta diede ben presto risultati cosi sorprendenti,
dal punto di vista del reddito, che proprietari e contadini vi si
dedicarono con grandissimo impegno. Fu, subito dopo, necessario
provvedere allo incremento della tessitura e della tintura, e si videro allora sorgere in Messina ed in quasi tutto il
Valdemone molti opifici che producevano quei drappi serici la cui
bellezza e magnificenza non ebbe rivali, e conquistò in seguito i mercati esteri. La maggior parte delle famiglie peloritane si interessarono non solo della produzione ma curarono
anche la esportazione delle sete, sia grezze come manufatte,
dirigendole, con proprie navi, in tutte le parti del mondo allora
conosciuto, con preferenza verso I porti delle Fiandre, della
Spagna e dell’Egitto. Nel viaggio di ritorno le galere messinesi
portavano in patria merci estere. Si venne in tal modo a stabilire in Messina un largo scambio commerciale che costituì
la fonte principale della ricchezza cittadina e il benessere di quelle
maestranze specializzate di filatori, di tessitori e di tintori che erano tanto rinomate e contese in ogni Paese.
Da un atto notarile, in data 20 Maggio 1518, stipulato dal
notaio Gerolamo Mangianti, e trasmessoci Dall’annalista Gallo
nei suoi Annali, a pag. 472 del 2° Volume, si può conoscere il
numero ed i nomi delle famiglie messinesi che esercitavano l’industria
della seta, sia come produzione sia come esportazione. In tale atto, ben 85 famiglie, tra le più nobili ed illustri
che si contavano allora in Messina, si obbligarono offrire alla
Basilica Cattedrale, e precisamente alla Cappella della Sacra
Lettera che ivi si venerava, un quarto di grosso per ogni libra
di grosso di valuta sopra tutta la mercanzia di seta grezza e
manufatta che esse famiglie producevano e inviavano in Fiandura, nel Brabante, ed in Inghilterra.
I promotori di tale obbligazione furono i magnifici Don
Tommaso Marullo di Damiano, Don Antonio La Rocca e Don
Geronimo La Cersa.
La prima firma che si legge apposta a tale atto è quella
di D. Tommaso Marullo, Conte di Condojanni, e subito dopo
si legge quella della Contessa di Condojanni.
Senza dubbio la posizione economica di questa linea primogenita di Casa Marullo fu grandemente avvantaggiata dalla
sua attività industriale, e tale progressivo ingrandimento fece
si che all’epoca della venuta in Messina dello Imperatore CarloV (1535), questa famiglia era la prima nella città del Faro
per posizione sociale e per ricchezza. Ciò si può rilevare dalla
relazione fatta da un anonimo cronista del tempo, riportata dal
Gallo nei suoi Annali, al secondo volume, relazione nella quale
si legge con quale fasto e con quanta magnificenza il Conte di
Condojanni Don Giovanni Marullo, in quell’anno Stratigò di
Messina, accolse ed ospiti il grande monarca nei cui regni non
tramontava mai il sole, e la sua splendida Corte.
Banche e banchieri
Dato lo sviluppo sorprendente che in Messina prendevano
la industria della seta, il commercio e la navigazione, si rese
necessario che sorgessero qui e fiancheggiassero tali attività,
Banchi pubblici e privati. Furono primi a stabilire tali aziende
bancarie in Messina alcuni intraprendenti fiorentini, seguiti
dopo poco da altri di nazione genovese. L’esempio di costoro
fu, nella seconda meta del ‘400, imitato da molti altri, attirati
dal miraggio di facili guadagni. Alla meta del ‘400 il ceto bancario era tanto numeroso ed importante da dare il nome ad una
via cittadina. Essendo tale attività, come quella della seta, ritenuta arte nobile per rescritti Regi e Decreti di Repubbliche
Sovrane, i nobili messinesi, sicuri di non perdere, esercitandola,
le loro qualifiche e prerogative, vollero, anche perché stimolati
dall’esempio dei patriziati di Napoli, di Catania, di Palermo e
delle maggiori città dìItalia, aprire aziende bancarie.
Da vari atti pubblici Si apprende che tennero Banchi in Messina i
seguenti patrizi: Francesco Romeo, Alessandro Settimo, Miuccio Antonino e Pietro Merulla,
Angelo Faraone, Pietro Stagno, Eredi di Bernardo Faraone, Francesco Cottone, GioSalvo di Balsamo, Francesco Anzalone.
Purtroppo tale attività non ebbe i facili sviluppi di quella
della seta, ma fu causa di disastri economici per molte famiglie
che vi si erano dedicate. Nella seconda metà del ‘400 e prima
metà del ‘500 si ebbero a lamentare non pochi fallimenti bancari
tanto che il Senato emise alcune prammatiche nello intento di evitare altri dolorosi casi del genere. Ma tale intervento non bastò scongiurare nuovi crolli quali furono quelli del
Banco di Francesco Ansalone nel 1535 e quello, contemporaneo e clamoroso, di Giovanni Salvo Balsamo, fallimenti che
causarono ingenti perdite, oltre che per i privati, anche per
il pubblico denaro, in quanto sia l’Ansalone che il Balsamo facevano il servizio di cassa per il Comune e per la Regia Corte.
Dei banchi dei tre Marullo, Miuccio Pietro ed Antonio, nessuno
andò in fallimento perché tali aziende avevano chiuso la loro
attività prima che avvenissero i disastrosi crolli sopra ricordati Miuccio e Pietro salirono in grande fama perché, oltre
ad essere intestatari di aziende di credito e di cambio tra le più
rinomate in Italia, furono chiamati entrambi successivamente a coprire l’alta carica di Tesoriere del Regno.
Pietro ebbe succursali della sua Banca in Palermo ed in
Napoli, e fu corrispondente dei piu grandi Banchi d’Italia di
quella epoca.
Nello stesso torno di tempo egli fu proprietario di una
piccola flotta di galere, di galeotte e di tartane con la quale
esercitava la navigazione di lungo e breve corso.
Nei registri della Regia Tesoreria del Regno di Sicilia ed
in quelli di Napoli si trovano annotate molte operazioni commerciali sotto il suo nome, e altre registrazioni si leggono per
trasporti da lui fatti, con le sue navi, di grani e di altre vettovaglie
per conto della Regia Corte. Ma la instancabile operosità spiegata da questo mio lontano Avo e le sue geniali iniziative non diedero in definitiva quel felice risultato pratico
che era da attendersi. Difatti alla sua morte, avvenuta intorno
al 1525, i suoi eredi non trovarono che le briciole di un grande
patrimonio. Questa situazione, che si desume da un atto di transazione
tra i due fratelli Girolamo e Giovanni, figli ed eredi di Pierto, (Not. Mangianti 11-4-1529), influì molto, in prosieguo di tempo, sui nuovi orientamenti della discendenza di Gi-
rolamo suddetto, come si dirà in appresso.
Il Santuario di Montalto
Come nelle pagine precedenti ho fatto noto, non mi è
stato possibile trovare i documenti capaci di dimostrare la appartenenza alla nostra famiglia di alcuni chiari e benemeriti
personaggi che tra il 1100 ed il 1300 portarono alto il nostro
nome, e furono ricordati da storici ed araldisti. Si trova tra
costoro quel Francesco Marullo che, deputato dal Senato peloritano e dalla Regina Costanza alla costruzione del Tempio di
Montalto, vi si dedicò con tanto zelo e fervore religioso, da
riuscire in brevissimo tempo a disimpegnare l’incarico affidatogli.
Difatti, appena trascorso un anno dallo inizio della costruzione il miracoloso Santuario apparve completo in tutte le sue
parti e venne aperto al culto tra l’esultanza del popolo zancleo.
Da allora la nostra famiglia assunse come suo stemma la
colomba d’argento in campo rosso nella parte superiore, e
nella parte inferiore di oro, stemma che volle ricordare la
apparizione sul monte della Caperrina della colomba bianca, ed insieme la parte preponderante avuta dal pio Francesco
alla immediata esecuzione degli ordini della Celeste Signora,
che volle sorgesse sulla sommità di quel colle un Tempio a Lei
dedicato. Da quella remotissima data la nostra famiglia fu ed
e particolarmente devota di questo storico Santuario, e molti
furono per il passato le donazioni ed i benefici che i nostri Avi
e consanguinei destinarono a questo sacro luogo, e al contiguo
monastero le cui Badesse furono di preferenza scelte tra le monache della nostra casata. E ritrovandosi nel 1540 Badessa Suor
Lucrezia Marullo di Tommaso di Damiano e di Laura Spadafora, il fratello di lei Francesco, barone di Casalnuovo, con suo
testamento in Notar Giacomo Donato in data 10 Ottobre 1540,
destinò cospicui legati a favore del Tempio e del monastero,
e
fondò un legato di maritaggio per le consanguinee, affidandone
la esecuzione alla Badessa pro tempore con la ratifica della Curia Arcivescovile. Tale legato, benché ridotto a sparute entità
per le falcidie subite da tassazioni e leggi, ancora esiste quale
testimonianza di un atto di solidarietà familiare.
Nelle ampie vetrate artisticamente istoriate che adornavano il Santuario, e che andarono distrutte con il terremoto
del 1908, si ammiravano dipinti alcuni dei più importanti avvenimenti storici di quel sacro luogo. Nella sesta vetrata era
rappresentato il nobile Francesco Marullo nell’atto di ricevere
dal Senato e dalla Regina Costanza l92incarico della costruzione
della Chiesa.
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