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Il personale
sanitario della
Fondazione Cilena
insignita del
premio
Internazionale
Matilde Maresca,
durante alcune
prestazioni
quoditiane di
assistenza medica
e di conforto agli
anziani degenti
negli istituti sparsi
sul territorio.
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Ma quando si è soli e senza luce, come il vecchio avventore! Quando si é costretti a tornare a casa e a incontrare se stessi!
Quando il sentimento del nada incombe sull'anima, allora come si fa a non sentirsi disperati? A non tentare di uccidersi? Non è possibile vivere in compagnia del nada.
Finché si é giovani diverso: é possibile riempire la vita di avventure esaltanti, capaci di ubriacarti e farti vivere fuori di te, dimentichi della vera condizione umana.
Ma quando l'organismo inizia a non reggere piú e si avvertono, anche se lontani, i passi di quella «laida cosa» che é la morte, allora é difficile continuare a vivere.
Cosi è successo a Hemingway. La mattina del 2 luglio 1961 si uccise con un colpo di carabina alla tempia, non ancora sessantaduenne.
Lo spettacolo delle tante cose di cui aveva riempito la sua esistenza - caccia, guerre, donne, vagabondaggi, letteratura - gli si presentó in tutta la sua vanitá, e la presenza del nada gli impedí di affrontare la vecchiaia.
Se vivere - come credeva - significa inseguire e sperimentare sensazioni, con intensitá e dignitá, essa non ha senso. E' preferibile sopprimerla, ammazzandosi.
Sotto gli stessi orizzonti chiusi e vuoti trascina i suoi giorni il protagonista del romanzo Passo d'addio di Giovanni Arpino.
Giá professore di logica matematica, vecchio e inabile, vive di rimpianti e di ricordi, inseguito dall'arteriosclerosi e dal «ripugnante Nulla». Un relitto d'uomo.
Svuotato di ogni certezza
scientifica e religiosa, affidato alle cure di due appassite zitelle, senza interessi o legami affettivi, senza speranza né terrena né ultraterrena, corteggia e invoca la morte, sola prospettiva di un vecchio per il quale «la vita o é stile o é errore» (3).
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Per lui ora, é errore. Perciò, va soppressa. É quanto desidera, e quanto otterrá, evitando in tal modo di offrirsi come spettacolo pauroso e detestabile («[...] ci impauriscono tutti i vecchi, che vogliamo lontani da noi perché deturpano la nostra illusoria, stupida bellezza»).
La solitudine è un altro spettro che infesta i giorni di molti anziani. Si tratta della solitudine che é condanna, estraneitá, isolamento, e che si trascina dietro il distacco e l'astio, l'odio e la disperazione.
L'anziano, vittima di questa solitudine, é un rifiutato della societá, che si é bloccato in se stesso, un escluso dal banchetto della vita che si nutre di rancore, un vivente che sceglie di vivere nel cimitero.
In un racconto amaro e desolato Dino Buzzati narra della vecchia signora Luisa, ridotta a vivere come un'ombra malefica, in una soffitta. In fondo a un cassetto ha trovato per caso una foto che rappresenta le allieve della seconda classe, lei compresa. Finalmente può dare uno sfogo alla sua solitudine. Come? Ricordando le sventure e la morte delle compagne.
«Sola, al freddo, in questa soffitta maledetta, senza una creatura che mi badi, col mal di cuore, povera, senza piú denti, ignobile a vedersi, ecco la Luisa!... E non ho sonno, e la notte é lunga, e nessuno verrá a trovarmi... Oh, lasciate che mi consoli raccontandovi come siete morte!» (4).
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(3) G. Arpino, Passo d'addio, Einaudi, Torino 1986, 3.
(4) D. Buzzati, In quel preciso momento, Neri Pozza, Venezia 1955, 106.D.
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