(Rivista Internazionale - Dicembre 1994: Abbiamo l’età della nostra speranza - 3/6)
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Santiago del Cile. Il Presidente dell'Associazione Cilena dell'Ordine, Regulo Valenziale Matte (a sinistra), durante la cerimonia di consegna del Premio lnternazionale Matilde Maresca «Per la Dignitá degli Anziani» a Mons. Sergio Correa Gac, dal 1972 responsabile della «Fundación Las Rosas de Ayuda Fraterna».
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Più o meno - ci ammonisce Buzzati - siamo tutti come la vecchia signora Luisa: soli col mucchietto di ricordi che sventolano all'orizzonte come richiami funerei. I figli? Non sono piú nostri, trascinati via da altri interessi, altri richiami. «Dalla strada, alzando il capo, essi ci saluteranno lietamente, ma senza nessun trasporto, per liberarsi l'animo anche di quest'ultimo dovere, e poi si disperderanno per i giardini, in amore» (5).
Gli amici? Scomparsi. Voi vi affannate a cercarli per la città, ma i vostri «passi riecheggiano misteriosi da una casa all'altra dicendo: Che fai? Che vuoi? Non ti accorgi com'è tutto inutile?» (6).
«Di notte, durante il sonno, cose ed uomini, sgusceranno fuori di me ad uno ad uno, ed io non ne sapró niente. Soltanto dopo mesi, o anni una sera, preso da nostalgia, faró una specie di appello. Chi risponderá? Oh, pochi, pochi.
Così compiendosi la solitudine dell'uomo» (7).
Di questa solitudine non si può vivere, neanche quando si è nella pienezza delle proprie energie. Infatti Cesare Pavese si è suicidato a 42 anni, perchè incapace di sopportare «la massima sventura che é la solitudine». Nella poesia Lavorare stanca ha scritto: L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire. / Quando l'ultima stella si spegne nel cielo, / l'uomo adagio prepara la pipa e l'accende.
E se un anziano non riesce a dormire? Se neanche é piú in grado di accendersi una pipa per ammazzare il tempo? Scartato il suicidio - pochi, pochissimi lo vogliono - ci si rassegna a vivere come in un inferno in miniatura: spenti, chiusi, disperati, come taluni personaggi di Borges, di Garcia Marquez, di Beckett.
Nell'ultimo romanzo di
Marcello Venturi, Il giorno e l'ora, un anziano sente che è giunto il momento di andarsene via di casa, cioè «il momento in cui la figlia, il genero e i nipoti l'avrebbero buttato in mezzo a una strada per godersi in pace le loro ferie» (8). Per andare dove? In un albergo per anziani. Cosi la societá chiama l'ospizio dei vecchi: cambia il nome delle cose «nel tentativo di mantenersi la coscienza pulita». Il protagonista del romanzo, piuttosto che finire all'ospizio dove mancano solo le lapidi per diventare un cimitero, «sarebbe ricorso a una soluzione piu rapida».
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Le assistenti della
Fondazione «Las
Rosas de Ayuda
Fraterna» durante
la distribuzione di
vestiario alle
persone anziane
dell'istituto.
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Quelle fugaci luci del tramonto
I casi che abbiamo presentato sono drammatici, senza sbocco. Quando una societá è intrisa di materialismo e di efficientismo; quando si esalta la cosiddetta youth culture, la cultura «giovanilistica», che presenta come unico modello della vita l'etá del
giovane, di chi cioé può produrre, possedere, fruire a pieno ritmo di ogni soddisfazione; quando vengono meno taluni valori essenziali (amore, amicizia, solidarietà); quando si vive sotto cieli vuoti e chiusi, cioé privi di dimensione ultraterrena e religiosa, allora per l'anziano é finita. Nessuna speranza, nessuna vera gioia, nessun traguardo per cui valga la
pena di vivere.
Al tramonto - o quasi della loro esistenza capita che alcuni anziani abbiano l'intuizione che questi cieli vuoti e chiusi potrebbero diventare pieni e popolati, e in tal modo dare una svolta decisiva alla loro triste esistenza. Un vecchio avvocato cardiopatico,
protagonista di Groviglio di vipere di François Mauriac, racconta la sua sconfitta di uomo, la sua disperata
solitudine, la sua sete di odio e di vendetta. É «l'uomo che non si ama», l'uomo col quale si vive perché ha soldi e potere, l'uomo che non conosce il sorriso.
Barricato nella sua stanza, rimugina piani contro coloro che lo hanno condannato al martirio dell'odio e della solitudine, é diventato un groviglio di vipere, non piú un uomo ma un'ossessione, una forza dialettica per stritolare quanti attendono che «crepi» per ereditarne i beni. Eppure qualche volta la sua umanità umiliata e spenta sussulta e rivela aspetti nuovi. Ció avviene quando avverte attorno a sé un po' d'amore. Con la piccola Maria riesce a essere anche tenero («La chiamavo ed ella veniva, la prendevo con slancio tra le braccia ed ella vi si rifugiava volentieri»). Un giorno che un prete gli dice: «Lei é molto buono», avverte nell'anima una «specie di dolcezza» che ti fa percepire una nuova dimensione della vita. In realtá, c'é nell'anima dell'anziano avvocato un «tasto segreto» capace di scuoterlo dal freddo letargo in cui essa affonda. Quando intuisce di poter diventare oggetto di amore esso si desta, gli inonda l'anima di brividi di giovinezza, gli ridesta dolci recondite armonie. Un guizzo di luce gli solca l'anima: se Dio fosse venuto non per i giusti, ma per i disgraziati come lui? Se la Grazia potesse vincere la
«spaventevole miseria del suo cuore» e trasformarne l'ariditá? Se gli fosse possibile diventare un altro? Il ben sogno si realizza, quasi per incanto. «Ma questa sera eccomi diventato estraneo a ció che era, nel senso piú profondo della parola, il mio interesse. Sono finalmente estraneo a tutto.
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(5) 5 Ivi, z6.
(6) Id., Sessanta racconti, Mondadori, Milano 1958,404.
(7) Id, In quel preciso momento, cit. 14.
(8) M. Venturi, Il giorno e l'ora, De Agostini Novara 1987, 52.
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